di Giuseppe Tarascio
Per qualche atleta, aumentare la taglia corporea può essere un vantaggio (basket, rugby, sumo, ecc.). Per altri atleti le dimensioni corporee non sono rilevanti, ma è comunque fondamentale mantenere bassa la quantità di tessuto adiposo relativo ed alti i livelli di massa magra relativa per ottimizzare al meglio la prestazione (calcio, nuoto, mezzofondo). Per altri atleti ancora il loro peso corporeo è dettato da una specifica categoria di peso nella quale gli atleti devono rientrare per poter gareggiare in quella disciplina sportiva.
Ci sono altri sport in cui il peso viene controllato al fine di migliorare la performance o in cui assume un carattere estetico. Ad esempio nei tuffi e nel pattinaggio artistico, dove le prestazioni vengono valutate da una giuria che predilige il carattere estetico, e l’enfasi con cui viene svolta la prestazione.
Negli sport cosiddetti di categoria il Peso Corporeo è determinante per l’ammissione dell’atleta alla competizione (Pugilato, Lotta, Judo, Karatè, sollevamento pesi, Body Building).
Ma, qualsiasi sia la disciplina sportiva se il peso corporeo riveste un ruolo, l’aspetto nutrizionale diventa un comune denominatore (Wilmore 1992).
Il Pugilato meglio conosciuto come “noble art”, è uno sport antichissimo che risale al 3000 a.c. nei XXIII Giochi Olimpici. Con l’evoluzione, nel tempo, i regolamenti hanno apportato modifiche sulle modalità con cui venivano svolti i combattimenti come: il numero di round in ogni singolo match, la durata stessa dei round, i colpi proibiti e l’utilizzo dei guantoni. C’è stato poi l’inevitabile bisogno di istituire delle “categorie di peso” per gestire meglio la fisicità degli atleti, al fine di garantire un equo combattimento tra pugili di taglia simile. L’obbiettivo delle rigidissime categorie di peso, è di equiparare il più possibile le caratteristiche fisiche dei pugili, per cercare di bilanciare al meglio le Forze in gioco e quindi mettere più o meno alla pari gli atleti, in una competizione che non richiede soltanto prestanza e condizione fisica ma anche capacità intellettive. Scarti di pochi chilogrammi, all’apparenza possono sembrare insignificanti, ma al peso dell’atleta viene, nella maggior parte dei casi, associata la potenza dei colpi.
Il pugilato è uno sport di combattimento dove gli atleti vengono suddivisi per categorie in base al peso corporeo.
La necessità dei pugili di essere ammessi in una categoria di peso che possa metterli in condizione di gareggiare con avversari potenzialmente di pari livello, porta, nella maggior parte dei casi, questi atleti a ridurre notevolmente il loro peso corporeo. Per gli atleti il peso corporeo è anche una condizione indispensabile ai fini dell’allenamento e della sua programmazione, dimostrato dal fatto che questo, è sotto costante controllo giornaliero con una frequenza di pesate che può arrivare fino a 8 volte. O almeno così dovrebbe essere. Ciò dipende dal valore dell’atleta, dalla prossimità della competizione, e dall’obbiettivo di peso che si è prefissati di raggiungere. Il peso corporeo quindi diventa oltre che indicatore di condizione di salute anche indicatore di stato di allenamento.
Se si chiedesse ad un pugile, quale sia il nemico peggiore, probabilmente tutti si aspetterebbero “l’avversario”; invece la risposta più frequente è la“bilancia”.
Questa risposta ci induce ad apprendere che il Peso Corporeo assume un ruolo fondamentale ai fini della pratica sportiva del pugilato, sia perché da accesso ad una categoria di peso, sia perché permette all’allenatore di delineare un profilo atletico al fine di programmare una preparazione idonea, che lo porterà al raggiungimento di un modello di prestazione competitivo.
E’ credenza comune dei pugili e degli allenatori che “gareggiare in una categoria di peso inferiore, sia la chiave per il successo”. Ciò potrebbe essere possibile nel momento in cui non si vada a ledere la funzionalità fisiologica dell’organismo, e la performance.
Ma, nonostante l’indiscutibile importanza del peso, molte volte non si segue un monitoraggio attento di esso, ma si tende a trascurare questo aspetto subito dopo una competizione provocando in questo modo “un oscillazione” del proprio peso “di categoria” con conseguente, sempre maggiore, difficoltà a ritrovare la “forma” per i successivi appuntamenti sul ring.
Nella maggior parte dei casi i metodi e le tecniche utilizzate per la riduzione del peso corporeo, compromettono seriamente la salute e la performance, rendendo inefficace la sacrificata preparazione fisica.
questa pratica trova la convinzione nella Teoria che: “Ridurre il peso corporeo permette al partecipante di guadagnare un margine competitivo”. Questa teoria è molto funzionale, ed è efficace solo se portata avanti correttamente; purtroppo nella maggior parte delle volte questa non viene ben interpretata, ed invece di trarre beneficio dalla perdita di peso, si incombe in una serie di effetti negativi che colpiscono direttamente l’efficienza fisiologica dell’organismo e il rendimento della performance e, nel caso specifico degli sport di contatto una maggiore esposizione ai rischi di traumi encefalici (ko). Purtroppo ancora oggi molte volte la pratica del calo peso è rimasto un affare privato tra allenatori, familiari degli atleti e atleti stessi.
Anche se oggi la scienza ha fatto dei considerevoli passi avanti, rimane ancora molto diffusa l’usanza di perdere la maggior parte del peso corporeo nel periodo imminente alla gara, mediante sovraccarichi di esercizio fisico, dieta e vari metodi di disidratazione; tutte tecniche che vanno a discapito degli elementi che permettono un’efficiente funzionalità fisiologica, come: Acqua, Elettroliti, Glicogeno, Proteine e
massa magra, mentre solo in piccola parte per la massa grassa. La perdita di questi elementi non garantisce la stabilità del peso, di fatto il peso viene subito recuperato nell’immediato post-gara.
In uno studio condotto sui campionati americani di lotta, si è riscontrato che la pratica del calo peso era diffusa in tutte le categorie di peso. I risultati testimoniano che, in media, i lottatori riguadagnavano il peso corporeo perso anche se in maniera differente a seconda della categoria di peso di appartenenza. Essendo questo meccanismo analogo al quello della BOXE, i pugili si trovano a gestire un controllo fluttuante del peso corporeo, e sono costretti a ripetere questa procedura di “calo peso” rapido in maniera acuta, per svariate volte durante un anno in piena attività agonistica.
Il continuo tentativo di diminuire il proprio peso corporeo, volto ad aumentare le possibilità di vittoria, ironicamente può alterare in modo negativo la prestazione e può pregiudicare lo stato di salute dell’atleta.. La combinazione della dieta ipocalorica con la privazione di liquidi (disidratazione) provoca una serie di effetti negativi sull’organismo, che inducono l’atleta a non essere in grado di competere nelle migliori condizioni fisiche, coinvolgendo di conseguenza anche la componente psichica.
Tali tentativi di perdere peso per rientrare nella categoria “più conveniente”, portano molti atleti ad una varietà di pratiche nutrizionali non salutari, evitando cibi specifici o gruppi di alimenti necessari per apportare il fabbisogno minimo di Acqua, Vitamine, Minerali o Macronutrienti, fino ad addirittura saltare i pasti senza tra l’altro il consiglio del medico nutrizionista.
Horswill (1994) ha stilato un elenco di metodi impiegati dai lottatori per il raggiungimento del peso desiderato:
• Bilancio energetico negativo (BEN);
o Incremento del consumo energetico – (Allenamento aerobico);
o Decremento dell’apporto energetico – (Restrizione dietetica).
• B. Disidratazione intenzionale:
o Metabolica – (Carico fisico);
o Termica – (Sauna, indumenti plastici e di gomma) ;
o Diuresi – (Diuretici, dieta iperproteica, bevande nervine);
o Sottrazione ematica – (salasso).
• C. Epurazione
o 5. Vomito auto-indotto;
o 6. Lassativi.
La disidratazione volontaria, è probabilmente la tecnica più utilizzata per la modalità rapida di perdita di peso, ed anche la più specifica a produrre ingenti perdite di acqua corporea.
Il digiuno o le diete lampo con un contenuto calorico molto basso comportano perdite di peso rilevanti, dove un bilancio energetico negativo eccessivo comporta inevitabilmente perdite elevate di acqua corporea dovute alla degradazione di glicogeno e proteine .
Con la disidratazione volontaria, sia la tecnica metabolica che termica, sono intenzionate a indurre una perdita d’acqua attraverso la sudorazione. Gli atleti cercano il raggiungimento del peso con pratiche disperate come: allenarsi indossando tute impermeabilizzate, bagni di vapore e saune, masticano asciugamani per perdere saliva e riducono l’assunzione di liquidi al minimo. Quindi vedere un pugile disidratato che si appresta a combattere è cosa assai facile.
Molte volte per non rischiare di compromettere l’incontro insieme a tutti i sacrifici per arrivare ad esso si fa ricorso a degli escamotage per rientrare di quel “chilo di troppo”. Di sua spontanea volontà o incoraggiato dal proprio team, il pugile può “risolvere il problema” assumendo diuretici.
I diuretici aumentano l’eliminazione dei liquidi nel corpo, agiscono sui reni e favoriscono l’espulsione di urina.
Perché sia evidente il rischio che comportano farmaci o tecniche del genere sarà bene chiarire che una riduzione della massa liquida non può essere distrettuale ma interessa tutti i compartimenti corporei dato che questi funzionano come dei vasi comunicanti: non si può sottrarre liquido da uno senza che si abbassi anche il livello degli altri.
Immaginiamo un atleta che debba rientrare nella propria categoria o addirittura che debba scendere in una categoria di peso inferiore e che per far questo, oltre alle tecniche precedentemente descritte per la perdita di peso, aumenti la diuresi. Naturalmente ciò che perderà non sarà solo urina e se consideriamo che l’atleta in corso di allenamento perde già parecchi liquidi con il sudore e la respirazione e che, ovviamente, per scendere di peso non reintegra le perdite, ci troveremo di fronte un soggetto doppiamente disidratato.
I liquidi persi sono composti maggiormente da acqua, questa perdita può essere elevata e raggiungere i 2-3 litri/h nell’uomo acclimatato al calore oltre un breve periodo di tempo, e fino a 10-15 litri al giorno (Wenger 1988) .
Una perdita di fluidi così rilevante compromette la funzione renale e cardiovascolare, inoltre è potenzialmente pericolosa per la salute.
Le conseguenze di una perdita di peso per disidratazione comprendono:
• Diminuzione del volume e della pressione sanguigna;
• Riduzione del volume di scarica sistolica sub-massimale e massimale e della massima gettata cardiaca (Volume/minuto);
• Diminuzione della perfusione di sangue ai reni, e attraverso i reni;
• Aumento della FC sub-massimale;
• Riduzione delle capacità Aerobico ed Anaerobiche;
• Declino della prestazione;
• Notevole impedimento alla termoregolazione.
a questo punto risulta evidente che il nostro soggetto avrà il sangue meno fluido (rischio di tromboembolie) e insufficiente per quantità ad irrorare i muscoli impegnati nel lavoro.
Sembrerà assurdo, ma è molto più facile che un pugile infortunato riesca a vincere l’incontro rispetto ad un pugile che affronta il match in condizione di disidratazione.
Da uno studio scientifico svolto a Roma nella Facoltà di Medicina e Chirurgia, Corso di Laurea in Scienze Motorie Cattedra di Neurotraumatologia Sportiva , sui traumi negli sport di contatto è emerso che i pugili che salivano sul ring disidratati aumentavano notevolmente il rischio di esposizione ai traumi da colpi. Visto che questo tipo di farmaco e queste pratiche di perdere peso “ fai da te” portavano all’eliminazione senza reintegro dei liquidi nei vari distretti corporei costringeva tra l’altro anche una riduzione della massa encefalica. Un cervello disidratato è meno capace di sopportare le sollecitazioni provocate dai colpi aumentando il rischio di ko e di conseguenti lesioni neurologiche acute.