Jerome Zodo Contemporary
via Lambro 7, Milano
13 gennaio – 12 marzo 2011
Inaugurazione giovedì 13 gennaio 2011, ore 18.30
La galleria Jerome Zodo Contemporary è lieta di presentare box(e) la collettiva a cura di Gabriele Tinti che accoglie quattro artisti internazionali – Sebastian Diaz Morales, Ben Grasso, David Rathman, Denis Rouvre, Wainer Vaccari e Li Wei – riuniti nello spazio milanese per esplorare e condividere il mondo del pugilato esibito al margine dell’espressione artistica. La mostra inaugura giovedì 13 gennaio 2010 alle ore 18.30 presso lo spazio di via Lambro 7, a Milano.
Il titolo scelto box(e) ospita e suggerisce diversi significati linguistici. Privato della (e), ridotto a box, a contenitore, rimanda inevitabilmente all’identità semantica della galleria, quale luogo di forme ed esperienze artistiche, teatro dell’azione, spazio di relazioni e di progetti partecipativi fra il pubblico e le opere d’arte. La versione estesa boxe, invece, si riferisce esplicitamente al pugilato, alla disciplina che ha rappresentato l’attivante per gli artisti selezionati e l’orizzonte tematico entro il quale sono stati riuniti.
La e posta tra parentesi non si limita, infine, a rappresentare un espediente lessicale per giocare coi significati, ma vuole essere il riferimento alla prima mostra, (ex)communicate, con la quale la Jerome Zodo Contemporary ha inaugurato la propria attività. box(e), infatti, cade a un anno esatto dall’apertura e da quella prima mostra, confermando la linea di ricerca della galleria e celebrandone simbolicamente il primo anno d’attività.
Alla base della riflessione proposta per questa mostra, il curatore Gabriele Tinti pone un semplice quesito: che
cosa può un corpo? Di che cosa si è capaci?
“La conoscenza di me e degli altri passa, per forze di cose, da qui, dalla risposta che a queste domande sappiamo dare. La boxe, in una tale ottica, con un tale obiettivo, risulta una disciplina fondamentale. “Più duro è il contatto più profonda è la consapevolezza” afferma un detto dei Dog Brothers[1], perché “essere gettato nel mondo vuol dire (proprio n.d.a) rischiare ad ogni istante di incontrare qualcosa che può decomporre i tuoi rapporti”[2], di incontrare il male[3], di farsi male e di avere paura. Tutto ciò significa fare esperienze delle proprie capacità, sperimentarle concretamente, metterle alla prova e trovare una misura. La boxe, come fa solo in certe occasioni la vita, ci aiuta a selezionare per il meglio, a perfezionare il nostro modo di abitare il mondo. Ma non è tutto, soltanto, naturalmente, qui. La boxe possiede la creatività, l’astrazione, il simbolismo della danza con in più la concretezza, l’emozione, la passione – la realtà – di un conflitto. Questa intensità di significati ne fa qualcosa di speciale, “una delle belle arti”[4]. “Come un ballerino un pugile è il suo corpo, vi si identifica completamente. E il suo corpo si identifica in un certo peso” (J. C. Oates). Ma la danza centra sino ad un certo punto. Nella boxe ci sono i pugni a complicare il movimento delle gambe, c’è la strategia e la forza di una misura presa, di un territorio conquistato, di un ritmo composto per complessità sinestetiche. E poi i pugni, lo si sa, fanno male, rallentano il gesto, appesantiscono i sostegni, fanno finire a terra. Perché la boxe non esaurisce sé stessa in una rappresentazione estetica del combattimento (come fa invece il wrestling) ma lo incarna, lo è anzi nel grado più essenziale e puro. Perché la Lotta è quella scaletta da salire, quelle corde da oltrepassare, quell’accappatoio da svestire, quel portarsi al centro del ring e ritrovarsi soli. Col proprio corpo di fronte a quello d’un altro. Faccia a faccia. Ecco, questo spazio è sacro e attiva il nostro essere civili, quel quadrato dove il sacro si sperimenta è magico e ci fornisce con massima evidenza la risposta alla questione posta in ingresso. Al suo interno tutto è stile, affettività maledette, visceri mostrati, dolore amato, sudore e sangue sversato. Al suo esterno si sta invece devoti, in adorazione, pronti a mettersi in discussione, a mettere in discussione le proprie istintualità, la propria morale, persino la propria identità. In questo territorio si è di fronte all’evidenza d’un rapporto, si è gettati nel mondo e, per questo, ci si trova di fronte ai propri limiti, all’esperienza di che cosa può davvero il mio corpo. Ed il tuo. Perché incontrarsi significa anche perdere. Capita a tutti prima o poi e quando capita nella boxe non ci si può alzare per dire il contrario. Si ha perso e, troppo spesso, se non si ha la tempra di un campione, si è persi”.
Gli artisti coinvolti hanno ragionato, ognuno in modo diverso, su tutto quanto detto e su molto altro ancora.
Denis Rouvre, ad esempio, ha rappresentato i lottatori senegalesi – oggetto di una lunga serie scattata in Africa – attraverso una fotografia che ne ha restituito l’intensità corporale, la bellezza estetica, la forza tribale.
Sebastian Diaz Morales entra con passo “concettoso” nel mondo della boxe. Evitando di rappresentarne la forza narrativa sposta invece l’interesse sull’impatto complesso, profondo, esistenziale, che la rappresentazione della violenza ogni volta ha sullo spettatore. I suoi sono simulacri di un mondo, quello della boxe, visto come luogo delle illusioni, spazio magico dove si finisce per naufragare con tutte le proprie certezze, i propri sogni, la propria identità.
Li Wei si è servito invece della fotografia per creare una realtà ambigua, a metà tra il reale e l’artificio, considerando questo dualismo essenza stessa dell’esistenza, espressione di potenza e debolezza dell’umano di cui, attraverso la propria ricerca artistica, ha cercato di ridefinire i limiti. “La mia ispirazione è lo spirito dello sport, la sua essenza. <Nothing is impossibile> è il tema del mio lavoro, questo perché lo spirito è importante, essenziale”.
Ben Grasso, pittore statunitense qual è, si abbandona a una flessione più intimista, rendendo omaggio a quella che è stata una delle sue passioni adolescenziali: la serie pittorica sulla boxe di George Bellows, riporta alla luce un momento fondamentale della sua formazione e della propria memoria d’artista.
David Rathman, infine, inserisce il match leggendario tra Muhammad Alì e George Foreman in un universo liquido, restituendoci con passo leggero ed evocativo tutta l’incredibile atmosfera di quello che fu un combattimento che andò al di là della boxe, perché “un uomo si era battuto per una certa Idea di libertà” (Alexis Philonenko).
Wainer Vaccari da tempo offre agli eroi della boxe, ai loro corpi così come ai loro volti, lo spazio di rappresentazione ideale, nella convinzione che il combattimento davvero sia da considerare come una delle belle arti. Vaccari è stato tra i primi in Italia a capire che il pensare così oggi, non costituisce un recupero né tantomeno una sofisticata reminescenza neoclassica ma una necessità. Perché lo sport è diventato uno, se non il fondamentale della vita odierna. È il luogo del cambiamento e della mutazione, è cultura.
Il progetto box(e) non si esaurisce, però, nella mostra, affinché il viaggio all’interno della boxe sia davvero tale e la mostra partecipativa, all’inaugurazione si terrà una vera esibizione di pugilato, durante la quale due dei migliori pugili del momento in Italia, Carel Sandon e Antonio Moscatiello, si confronteranno dal vivo. A bordo ring presenzieranno quattro dei più importanti campioni del mondo di tutti i tempi: Sumbu Kalambay, Rocky Mattioli e Giacobbe Fragomeni.
Per l’occasione sarà anche presente il Dolce&Gabbana Thunder Italian Boxing Team.
La galleria, intesa come uno spazio solitamente deputato esclusivamente e rigorosamente a degli eventi d’arte, attraversato da un pubblico elitario, diventa uno luogo di dialogo vero, dove ciò che è sempre stato considerato “alto” (il sistema dell’arte) viene unito a ciò che è sempre stato posto in “basso” (lo sport, le affezioni e le logiche del corporale). Nella convinzione che l’arte non sia qualcosa di “pertinente alle scienze umane, ma qualcosa di fisico come le impronte digitali” (Gottfried Benn).
[1] Il “Dog Brothers” è una scuola americana di combattimento con il bastone.
[2] Gilles Deleuze, “Cosa può un corpo”, ed. ombre corte, Verona 2007, p. 120.
[3] Per Spinoza “il male” non sarebbe altro che “una cattiva composizione” ci dice Gilles Deleuze con la sua lezione.
[4] È stato Walter Pater a considerare “il combattimento come una delle belle arti”, cit in “Studi Greci” ed. SE, Milano 2007
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Sebastian Diaz Morales è nato nel 1975 in Comodoro Rivadivia, Argentina, e attualmente lavora tra Amsterdam e l’Argentina. I suoi lavori sono stati esposti in musei come il Tate Modern, Londra; Centre Pompidou, Parigi; Stedelijk Museum and De Appel, Amsterdam; Art in General, New York City; Ludwin Museum, Budapest; Bienale Sao Pablo; Biennale of Sydney; Miro Fundation, Barcellona; MUDAM, Lussemburgo; la Calouste Gulbenkian Foundation, Lisbona. Le sue opere sono in collezione permanente al Centre Pompidou; Tate Modern; Fundacion Jumex, Messico; Sandretto Foundation, Torino; Sammlung-Goetz, Monaco; Fundacion de Arte Moderna, Museo Berardo, Lisbona. Nel 2009 è stato premiato dalla Guggenheim.
Ben Grasso è nato nel 1979, dopo aver conseguito il diploma di laurea in pittura all’Istituto d’Arte della sua città natale, Cleveland, in Ohio continua gli studi pittorici con un master all’Hunter College di New York, città dove oggi vive e lavora. Nel 2010 ha ricevuto il premio “pittura” della New York Foundation for the Arts (NYFA). Principalmente rappresentato sulla scena artistica statunitense, tra le mostre personali più recenti compaiono: TBD e Clearing, entrambe alla galleria Thierry Goldberg Projects, di New York e Close to Home al Kinkead Contemporary di Los Angeles. Tra le collettive compaiono: Recess alla galleria Crossing Art, di New York; Queens International al Queens Museum of Art di New York; The Grand, all’Amelie A. Wallace Center del SUNY College di Old Westbury, nello stato di New York.
David Rathman ha esposto presso la Larissa Goldston Gallery (NY) e la Mary Goldman Gallery (CA). Ha inoltre tenuto mostre personali e collettive presso il Contemporary Arts Museum (TX), il Walker Art Center (MN) e l’Arts Center of St. Petersburg (FL). Sue opere figurano in molte collezioni pubbliche tra le quali il Whitney Museum of American Art (NY), il J. Paul Getty Museum (CA) e l’Art Institute of Chicago (IL).
Denis Rouvre è nato nel 1967, vive e lavora a Parigi. É rappresentato dalla Corbis Outline Agency dal 1998. I suoi lavori sono stati pubblicati da testate nazionali ed internazionali tra cui Elle, Geo, GQ, Intramuros, L’Equipe, L’Express, Le Monde, Le Monde 2, Le Nouvel Observateur, Libération, Madame Figaro, Marie-Claire, The New York Times Magazine, Foto, Première, rivista Psychologie, Studio, Télérama, Têtu, e Vanity Fair Italia. Ha partecipato a diverse mostre collettive e personali in tutto il mondo.
Wainer Vaccari nasce a Modena nel 1949. Del 1985 è la sua prima esposizione all’estero nella Galerie Susan Wyss (Zurigo). Tra le personali più recenti si ricordano quelle alla Galleria Mazzoli (Modena) ed al Museum Moderner Kunst-Stiftung Wörlen (Passau). Tra le collettive: XIII Quadriennale di Roma, Proiezioni 2000 (Roma); 1998 “Continuità dell ‘immagine”, Mole Vanvitelliana (Ancona); Pittura iconica, Galleria d’Arte Moderna (Bologna). Hanno scritto di lui: Enzo Bargiacchi, Achille Bonito Oliva, Massimo Carboni, Felix Zdenek, Vittorio Sgarbi, Flaminio Gualdoni, Tommaso Trini, Luca Beatrice, Laura Cherubini.
Li Wei è nato in Cina, nella provincia dell’Hubei, nel 1970. Nel 1993 si è trasferito per studiare a Pechino dove tuttora vive e lavora. Tra le principali mostre a cui ha preso parte: “Between Past and future. New Photography and Video from China” (ICP, New York 2004), “Officina Asia” (Galleria Arte Moderna, Bologna, 2004), “Out of the Red” (Spazio Consolo, Milano 2003) e “The Second Pingyao International Photography Festival” (Pingyao, China, 2002). Da segnalare anche le sue presenze alla Biennale di Praga del 2003 e di Shanghai del 2000.
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Dolce & Gabbana – Thunder Italian Boxing Team, un gruppo di pugili Italiani sponsorizzati e vestiti da Dolce & Gabbana.
Sumbu Kalambay, è un ex pugile della Repubblica Democratica del Congo naturalizzato italiano. Fu campione mondiale dei pesi medi dal 1987 al 1989.
Rocky Mattioli, è un pugile italoaustraliano nato a RipaTeatina (la stessa città che diede i natali a Rocky Marciano). È stato campione del mondo dei supermedi dal 1977 al 1979.
Antonio Moscatiello è un peso welter classe 1982 attivo a Milano che ha sinora vinto nove incontri su nove per ko. Si avvia a combattere per il titolo italiano e poi per l’europeo.
Carel Sandon è un giovane pugile (classe 1983) del Congo ma attivo in Italia. Ha combattuto tredici incontri vincendoli tutti. Si avvia a conquistare il titolo europeo di categoria (pesi leggeri).
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Scheda tecnica
Titolo
box(e)
Sebastian Diaz Morales – Ben Grasso – David Rathman – Denis Rouvre – Wainer Vaccari – Li Wei
A cura di
Gabriele Tinti
Periodo
13 gennaio –12 marzo 2011
Sede
Jerome Zodo Contemporary
via Lambro 7 (ang. via Melzo), Milano
Inaugurazione
giovedì 13 Gennaio ore 18,30
Con la partecipazione di
Sumbu Kalambay, Rocky Mattioli, Giacobbe Fragomeni
Dolce&Gabbana Thunder Italian Boxing Team
Incontro
Carel Sandon vs Antonio Moscatiello (in collaborazione con Opi2000).
L’incontro avrà luogo in occasione dell’inaugurazione
Orari
da martedì a sabato, dalle 10.00 alle 19.00; chiuso domenica e lunedì.
Ingresso
libero
Informazioni
Jerome Zodo Contemporary
t. +39 02 20241935 | f. +39 02 2024486
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