di Adriano Cisternino
Pugni sul set. Una storia senza fine. Cinema e boxe si strizzano l’occhio da sempre, come boxe e letteratura. Da Jack London a Joyce Carol Oates passando per Norman Mailer così come da Charlie Chaplin a Clint Eastwood passando per Martin Scorsese. Scrittori e cineasti, a bordo ring, si sono sempre appassionati, producendo spesso capolavori da oscar. E il feeling non accenna ad estinguersi. L’ennesima testimonianza arriva dalla mostra, allestita a Milano, in occasione dei mondiali dilettanti, nella Fabbrica del Vapore, in via Procaccini, per presentare “I cento poster più famosi della boxe sullo schermo”.
Inaugurata martedì 1. settembre, la mostra è stata organizzata dalla Ficts (Federation Internazionale Cinema Television Sportif), presieduta da Franco Ascani.
Mentre su un megaschermo scorrevano le immagini di alcuni tra i più celebri film sulla boxe, alle pareti si potevano ammirare poster e locandine di titoli che hanno fatto la storia del cinema, conquistando spesso ambitissimi oscar e realizzando record d’incassi. E’ il caso, per esempio di “Rocky”, l’interminabile serie di Sylvester Stallone, o di “Luci della città”, film muto, espressione di una comicità del pugilato, che Chaplin cominciò a girare nel ’28, o dal celeberrimo “Toro Scatenato”, il capolavoro di Scorsese, con un grande De Niro.
Il cinema americano degli anni ’40, sospinto proprio da una certa letteratura, si soffermò spesso sulle storie del ring nel tentativo di approfondire le radici sociali del fenomeno. Di qui la grande produzione mai esaurita sull’argomento, con la partecipazione di attori di prim’ordine come De Niro, Kirk Douglas, Paul Newman.
Ma cos’ha la boxe per sedurre tanto scrittori e cineasti? C’è chi spiega, per esempio, che molti registi si soffermano sui primi piani, facce insanguinate, facce deformate dalla sofferenza e dal dolore, provocati però non da armi ma dal pugno, cioè da una parte stessa del corpo umano, il che rende il messaggio più autentico, più toccante, perché più vicino allo spettatore.
All’inaugurazione della mostra c’era Giacobbe Fragomeni, unico attuale campione del mondo professionisti della nostra boxe, che si è soffermato a lungo davanti alla locandina di “Lassù qualcuno mi ama”, con Paul Newman: “Questo è il mio preferito – ha detto – perché è il mio film, è la mia storia. Me lo rivedo prima di ogni match”. E c’è da capirlo, visto che lui è cresciuto in un quartiere a rischio di Milano, la Stadera, ha conosciuto la droga, che gli ha rubato anche una sorella, e ne è uscito quando è entrato per caso in una palestra di boxe. C’era anche una “incintissima” Stefania Bianchini, ex-campionessa del ring, naturalmente fotografata davanti al poster di “Million dollar baby” con cui Clint Eastwood ha praticamente sdoganato sul grande schermo anche il discusso pugilato femminile.
D’obbligo il tributo al mito, Muhammad Alì, di cui il cinema si è interessato a più riprese. Dalla locandina di “Io sono il più grande” al poster di “Alì”, con uno splendido Will Smith. Ma meritano la citazione anche “Hurricane”, che si avvalse anche della omonima canzone di Bob Dylan, e un nostalgico “Knock out” che impegnava Amedeo Nazzari, Massimo Girotti e Primo Carnera. E anche un Tiberio Mitri con Luisa Rivelli e Nilla Pizzi in “Il nostro campione”, e Tony Curtis ed Ernerst Borgnine in “La giungla del quadrato” .
Cento poster, ce n’è abbastanza per ripercorrere la storia di un feeling di successo tra boxe e cinema. Poster e locandine, ma anche la cartolina d’epoca (1910) di Pietro Boine, primo campione d’Italia e la locandina del match della storia Alì-Foreman, Kinshasa, 30 ottobre 1974, che al di là del cinema, fu registrato nel libro “The match”, il combattimento, di Norman Mailer.
Le statistiche dicono che ad oggi sono ben 238 i film di boxe. Degli altri sport solo il baseball (275) ha fatto di più. Terzo è il calcio (154) e quarto l’automobilismo (134). E il feeling continua.