Nel pugilato c’ è una categoria di ex professionisti che mi piace considerare dei dimenticati. In qualche modo stanno ancora nel mondo del pugilato come dirigenti di società, come spettatori, come insegnanti ed altro. La maggior parte dei giovani d’oggi, agonisti e non, li conosce per quello che sono adesso senza sapere che nel passato questi signori hanno fatto la loro parte salendo sul ring con vittorie e sconfitte, gioie e delusioni per poi appendere i guantoni al chiodo. Qualcuno ha sfondato, qualcuno ha “toppato”, oltre all’abbandono causato da mille altri motivi, familiari e di lavoro.
Da qualche anno nella Laima Team a dar man forte ad Eugenio Agnuzzi c’è un altro maestro, si chiama Roberto D’Elia, 51 anni, uno che il pugilato lo conosce bene per averlo praticato anche da professionista, per dirla in breve rientra perfettamente nella categoria dei dimenticati. Per trovarlo basta andare la sera nella bella palestra dell’ Arco di Travertino, si esce dalla metropolitana e si svolta in via di Tor Caldara, non si può sbagliare.
Logicamente gli amarcord di chi ha fatto il pugilato iniziano dal dilettantismo.
“Tra i dilettanti sono arrivato ad essere I serie. Avevo ottenuto una decina di vittorie consecutive contro avversari che allora andavano per la maggiore, in poco tempo avevo fatto un salto di qualità non indifferente. Venivo dalla Santa Croce dove allenava Pipero Panaccione”.
La cosa strana è che D’Elia, che già da dilettante aveva un buon seguito, non ha mai partecipato agli Assoluti.
“Panaccione aveva una mentalità tutta sua particolare. Noi eravamo ancora dei ragazzi e lo abbiamo scoperto dopo. Prima nei riguardi di un maestro c’era disciplina e assoluto rispetto. Quando decideva una cosa era quella e basta. Avevamo tutti una cieca fiducia in lui. Non ci faceva mai partecipare agli Assoluti e non ci fece andare in Nazionale, nonostante ci fossero richieste da parte della Federazione, perché la Santa Croce aveva grazie a lui fama di buona scuola”.
Per chi ha una certa età ed ha sempre seguito il pugilato il nome di D’Elia si abbina spesso a quello di Patrizio Oliva, che da lui subì una delle rare sconfitte da dilettante.
“ Patrizio era un buon tecnico come me. Diciamo che sono stato un po’ più scaltro in alcune azioni d’attacco. L’ho colto di sorpresa e mi sono portato a casa questo match ai punti di stretta misura. Quando trovi due tecnici sul ring non è facile assegnare il verdetto. Per riprendere il discorso di prima rimane il fatto che Oliva andava avanti e noi della Santa Croce rimanevamo al palo, perché il maestro non ci dava la possibilità. Allora a livello dilettantistico non erano in tanti ad avere le qualità per andare in Nazionale e alcune categorie erano addirittura scoperte, ma Pipero rimaneva della sua idea, che era quella di portarci al professionismo senza aver subito danni. Si può dire che all’epoca lui creava i pugili, e poi gli altri li prendevano”.
Parliamo del D’Elia professionista
“ Da professionista ho disputato una quindicina di match, nel periodo che va dal 1978 all’ 82, ed ero arrivato ad essere decimo in classifica nazionale tra i superleggeri”.
Perché hai smesso?
“Mi ero un po’ stancato. Un anno sono stato fermo per un infortunio sul lavoro. Al rientro avevo ripreso alla grande e avevo disputato anche due match al PalaEur per gli organizzatori Sabbatini e Spagnoli, che però dopo non mi chiamarono più. La verità è che gli organizzatori dovevano decidere tutto sulla carriera di un pugile, curare la tua immagine, stabilire i match e il procuratore, che nell’occasione era Panaccione veniva messo da parte, ma non era impresa facile. L’obiettivo era quello di indirizzare la mia carriera in modo tale da incontrare nuovamente Patrizio Oliva per la rivincita, possibilmente a Roma. Uscito da lì ho combattuto per altri organizzatori, ho combattuto anche per Giuseppe Ballarati. Uscito dal grande giro diventa tutto più difficile; io mi preparavo per un mese e poi il match veniva rinviato all’ultimo momento. Magari facevo il peso e poi quando scendevo dalla bilancia mi accorgevo che l’avversario era cambiato. Accadeva anche che combattevamo tra pugili della stessa società, per ottenere il verdetto dovevi stravincere. A lungo andare mi sono demoralizzato. Uno faceva tanti sacrifici, per poi non sentirsi tutelato. A tutto questo ha concorso anche la chiusura della Santa Croce, la palestra dove mi ero sempre allenato. Mi ritirai da giovane, avevo appena 26 anni”.
D’ Elia, ormai insegna pugilato da circa 8 anni, ma nella vita cosa fa ?…
“Io ho sempre fatto l’ascensorista. Ho iniziato in parallelo con lo sport, sono entrato in palestra proprio il giorno che avevo trovato lavoro. Oltretutto li potevo abbinare bene visto che al lavoro staccavo alle 17, giusto in tempo per entrare in palestra”.