di Leonardo Pisani
Era il 25 gennaio 1901, all’ Harmony Hall di Galveston, c’era tanta gente ad assistere a quello spettacolo: volevano vedere l’uomo bianco chiamato appositamente da San Francisco per dare una lezione all’arrogante nipote di schiavi, nato in una piantagione di cotone, proprio lì a Galveston. Il bianco non era uno qualunque, era un tremendo picchiatore che aveva affrontato a pugni nudi e con i guantoni anche il favoloso Jim Corbett, aveva pareggiato con Bob Fitzsimmons, Kid McCoy, Tom Sharkey e Jim Jeffries. Si chiamava Joe Choynski, sapeva suonare il pianoforte e scrivere bene, ma allo stesso tempo era capace di pestare a dovere chiunque e combatteva contro chiunque dai medi ai massimi, dagli Usa ai ring australiani. In Texas la boxe era illegale, ma il californiano arrivò con la scusa si impartire lezioni di Noble Art agli iscritti del Galveston Athletic Club; ma in realtà era stato chiamato per impartire una lezione a quel gigantesco “nigger” che abbatteva con facilità tutti i suoi avversari e in particolar modo si divertiva anche sbeffeggiare gli avversari “bianchi”; l’ultima vittima fu un pugile irlandese appositamente chiamato per battere quel figlio di ex schiavi. Era troppo, quel Jack Johnson andava punito… Choynski fu profumatamente pagato per affrontare quella statua di ebano, con pochi incontro, certo ma dal fisico possente. Le esibizioni erano considerate legali, ma gli incontri professionistici no. I due salirono sul ring, Choynski, bianco come la neve era sui 74 kg per 180 cm, mentre lo statuario nipote di schiavi era sui 86 kg per 184 cm, Al suono del gong, i due iniziarono a studiarsi, il banco era sicuro di sè, aveva affrontato e battuto i migliori massimi del mondo mentre il giovane nero era alla prima armi; mentre Johnson era conscio del suo potenziale e della sua forza, ma sapeva bene che il californiano aveva un pugno velenoso come il morso di un cobra. Due round di schermaglie, quasi da esibizione, poi al terzo round, Choynsky era pronto: aveva preso le misure del giovane avversario; forte come un toro ma non si sapeva di fendere, fece una finta, poi colpì con un sinistro di disturbo e arrivò la bomba improvvisa. Un destro alla mascella e Johnson si accascio prima sul suo avversario e poi cadde a terra, a faccia in giù come folgorato. L’arbitro Herbert Bernau contò fino a 10 e decretò il ko e la vittoria del bianco. Fu un errore, tra il pubblico c’erano sia lo sceriffo di Goldstone che alcuni Texas Ranger che intervennero, salirono sul ring e arrestarono i due pugili perché autori di un incontro di pugilato clandestino. I due pugili furono sbattuti in prigione e il giudice fissò una cauzione di ben 5000 dollari cadauno: un’enormità. Lo sceriffo Henry Thomas, amante del pugilato, permetteva che una folla si radunasse nella prigione ogni pomeriggio per guardare i due uomini allenarsi. Choynski rimase colpito dall’abilità di Johnson e gli disse: “Un uomo che può muoversi come te non dovrebbe mai subire un pugno”. In quei 23 giorni di prigionia, l’esperto Choynski insegnò a Jack Johnson tutto ciò che sapeva e quando il giovane pugile uscì di prigione il 5 marzo 1901 era un altro boxer e lo rimarcò sempre. Da campione mondiale dei pesi massimi, pubblicamente raccontò che doveva agli insegnamenti di Choynsky, la sua abilità a parare i colpi e disse del suo maestro: Jeffries aveva un colpo forte e Fitzsimmons poteva staccarti la testa, ma quell’uomo, Choynski, poteva paralizzarti anche quando ti prendeva di striscio. Secondo me, era il colpitore più forte, pound for pound, degli ultimi 50 anni… penso che il suo gancio sinistro fosse molto più efficace sia di quello di Dempsey che di quello di Louis. Il pugno che mi diede alla tempia e mise ko, è stato il più duro che abbia mai ricevuto”. Poi raccontò: “Divenni simpatico a Joe e ogni giorno facevamo boxe nel cortile della prigione, circondati dai ranger e dagli ospiti. Ho imparato di più in quelle due settimane di quanto avessi imparato in tutta la mia esistenza fino a quel momento”.