di Alfredo Bruno
Anche Mario D’Agata ci ha lasciato, il grande campione è deceduto a Firenze, vicino ad Arezzo, sua città natale, all’età di 82 anni. Sembra che ci sia nel pugilato un imperscrutabile filo del destino, che in qualche maniera in poco meno di un anno abbia voluto collegare nel giorno più triste tre grandi figure di epoche diverse come i lati di un triangolo equilatero. L’anno scorso toccò a Duilio Loi e in quell’occasione la figlia Rosaria davanti alla bara lesse ad alta voce il messaggio di addio scritto e inviato da Mario D’Agata; pochi giorni fa Giovanni Parisi ci ha lasciato, ancora giovane coi suoi 41 anni, ed ora è stata la volta del pugile aretino.
Difficile parlare di casualità, perché in breve tempo sono scomparsi tre grandissimi campioni, dominatori in epoche diverse. E la gente sembra riscoprire, soprattutto i più giovani, da un certo fermento dell’ambiente e dalla grandezza di simili personaggi scomparsi che si sta parlando di uno sport la cui importanza sembra travalicare sempre di più il tempo. Ricordiamoci che D’Agata è stato il secondo italiano a conquistare un titolo mondiale dopo Primo Carnera, ma il suo record cronologico acquista contorni più nitidi quando lo definisci il primo del dopoguerra e soprattutto il primo conquistato in Italia (Carnera vinse in America).
La storia di Mario D’Agata ha una particolarità tutta sua e toccò nel profondo le corde del sentimento in un’epoca particolare come lo furono gli anni ’50 per gli italiani, che rialzavano la testa dopo una guerra che ci toccò particolarmente da vicino. Mario nacque ad Arezzo da una numerosa famiglia di emigranti siciliani. Il bambino nacque sordo-muto e fu questo il motivo per cui i genitori, piuttosto poveri, lo iscrissero a Siena ad un istituto religioso specializzato. La sua vocazione pugilistica la scoprì da ragazzo quando fu costretto a difendersi. La Federazione anche all’epoca era restia, nonostante in molte nazioni e soprattutto in America i sordomuti pugili rientravano nella norma. Furono proprio i cittadini di Arezzo a presentare una petizione che convinse la Federazione a concedere il permesso.
Fu una mossa azzeccata e la storia ne sarà testimone. D’Agata da dilettante disputò più di 150 match. Nel 1950 decise di passare professionista e firmò con Libero Cecchi, che dapprincipio non sospettò certo che quell’ omino di 1m. e 57cm.sarebbe diventato campione del mondo, anche perché le prime prove non furono certo incoraggianti. Era un pugile che ingranava con il passare dei minuti ed era però ancora grezzo, anche se assetato dalla brama di vincere ad ogni costo, il che rendeva ancora più difficile il compito degli arbitri che stavano sempre all’erta per la sua menomazione. Dopo alcune vittorie pareggiò con il siciliano D’Augusta, ma perse in due occasioni con l’ottimo Kid Arcelli ( nome d’arte di Romolo Re). Contro Renato Denti venne squalificato, un rischio che correva spesso per la sua irruenza, e contro Ganadu fu costretto all’abbandono per un infortunio. Quando fu presentato il 26 novembre 1952 a Milano contro l’italo tunisino Gaetano Annaloro, pugile di buona quotazione internazionale, erano in pochi a scommettere su di lui. Il suo era considerato un match di contorno visto che in quella stessa riunione combatteva gente del calibro di Duilio Loi, Alvaro Cerasani e Franco Festucci. Ebbene D’Agata capovolse il pronostico perché Annaloro per liberarsi dell’asfissiante aggressività di quell’indemoniato trovò come soluzione la squalifica al settimo round. Fu una sorpresa e “Mariolino” un mese dopo, sempre a Milano, si prese la rivincita su D’Augusta. Ormai era lanciato e l’anno seguente nella sua Arezzo conquistò il titolo nazionale dei gallo battendo per squalifica un pugile del calibro di Gianni Zuddas, grande campione sardo e medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra.
Ormai aveva in mano un titolo d’oro zecchino e non era più un carneade. Dopo aver ribadito la sua superiorità nella rivincita con Zuddas al termine di 12 round entusiasmanti, fu fermato a Tunisi dall’allora campione europeo Robert Cohen. Quella sconfitta D’Agata non la digerì mai e cosa strana l’unico nome che gli riusciva di sillabare era proprio Cohen. A Tunisi si ripaga piegando ai punti il duro Emile Chemama e poco più tardi a Milano regola il fortissimo Andrè Valignat. Dopo queste belle vittorie anche Mario decide di andare a cercare fortuna in Australia, che in quell’epoca era considerata un po’ la mecca per i nostri campioni. Li batte ai punti prima il campione australiano Bobby Sinn e poi l’americano Billy Peacock, considerato uno dei migliori gallo del mondo. Il destino sembrava, però, volersi ancora accanire contro questo piccolo guerriero che si ritrovò al centro di una lite tra il padre e un amico di famiglia, socio nella lavanderia che gestivano, e fu colpito al polmone da una fucilata, che non provocò danni maggiori grazie all’intervento della madre che fece da scudo. Una tragedia che commosse l’opinione pubblica, oltrettutto avvenuta alla vigilia di una sua possibile sfida per il titolo mondiale con il messicano Raul “Raton” Macias (tra l’altro deceduto anche lui una decina di giorni fa). Sembrava la fine, ma non fu così perché la tempra eccezionale di Mario reagì in maniera incredibile e dopo pochi mesi eccolo risalire sul ring. Il suo primo incontro con il negretto Arthur Emboulè non fu certo entusiasmante, anche se terminò all’8° round. Poi man mano la gente lo rivide sul ring persino migliorato tecnicamente. Dopo una bella serie di vittorie il 29 ottobre 1955 affronta a Milano Andrè Valignat, stavolta con il titolo europeo in palio. Anche in quell’occasione c’era gente come Loi e Guido Mazzinghi che combatteva, solo che stavolta il clou era suo. D’Agata non deluse, il francese accusò una durissima serie al corpo, dopodiché fu sua somma cura trovare il sistema per farsi squalificare al quinto round.
Nel frattempo Robert Cohen era diventato campione del mondo e l’ente mondiale stabilì una finale tra Little Cezar, un filippino temprato nell’acciaio, e il nostro campione. D’Agata andò a Manila e superò nettamente il difficile avversario.
Il 29 giugno 1956 lo Stadio Flaminio di Roma, che allora si chiamava Torino, era gremito in ogni parte. Un titolo mondiale all’epoca per noi era roba da fantascienza. Finalmente D’Agata si ritrovava di fronte a Robert Cohen. L’incontro non sembrava inizialmente mettersi bene per il nostro pugile. Cohen aveva un destro pericoloso e buona tecnica. Dopo cinque riprese il vantaggio del tunisino era evidente, ma alla sesta il colpo di scena. Un tremendo sinistro al fegato costringeva l’avversario al tappeto. L’arbitro lo contava fino ad 8 e suonava il gong. Nella ripresa successiva Cohen non riprendeva la lotta, doveva essere quindi un abbandono, ma l’arbitro spiazzava tutti e decretava la vittoria di D’Agata per ferita. Era un piccolo giallo ma non importava perché dopo 23 anni precisi (Carnera lo aveva conquistato il 29 giugno 1933) un italiano riconquistava il titolo mondiale.
Ma la leggenda di questo piccolo campione del mondo durava poco, fino a quando andò a difendere il suo titolo al Palais des Sports di Parigi contro l’astro nascente Alphonse Halimi. Alla quarta ripresa quando D’Agata, come suo solito, stava accentuando il suo ritmo ci fu un black out, l’impianto elettrico saltò per un misterioso corto circuito. Passarono ben 18 minuti e quell’attesa raffreddò il nostro campione che non fu più lui nel proseguire fino al 15mo round. La rivincita, che pure era stata concordata, non si fece più, Halimi trovò tutte le scappatoie possibili per evitare “il mutino”, concedendo la chance proprio al messicano Macias.
Dopo quel match D’Agata ruppe il sodalizio con Libero Cecchi e passò con il duo Busacca-Klaus che avevano con loro anche Duilio Loi. Nacque in quell’occasione la grande amicizia di questi due fuoriclasse. Per contendersi il titolo europeo, lasciato vacante proprio da D’Agata, l’EBU scelse insieme all’aretino un altro italiano Federico Scarponi. D’Agata aveva ancora molte frecce nel suo arco, nonostante una dura carriera; se ne accorse il marchigiano che finì ko in 8 riprese allo Stadio Amsicora di Cagliari. E nello stesso Stadio poco meno di un anno dopo è Mario D’Agata ad ammainare bandiera di fronte all’astro nascente del pugilato sardo, Pietro Rollo. Non sfugge comunque che la continuità aggressiva dell’aretino si sta appannando. Va in Messico, resiste stoicamente all’idolo di casa Joe Becerra, che di li a poco distruggerà Halimi, e perde per ferita al 10mo round. In Inghilterra gli affibbiano due sconfitte ingiuste contro i promettenti Gilroy e Brown.
Il 19 luglio 1962 concede la rivincita a Federico Scarponi, stavolta per il titolo italiano, perde ai punti contro un avversario che si dimostra più veloce. D’Agata non è tipo da accettare il ruolo da non protagonista e si ritira con un record di 54 vittorie, 23 per ko, 11 sconfitte e 3 pari.
Nel giugno del 2006 è stato premiato dal comune di Arezzo per il cinquantenario della sua impresa mondiale; fino a poco tempo fa di tanto in tanto era presente come ospite d’onore a qualche riunione, poi all’improvviso è arrivato un altro black out, stavolta non di 18’, ma quello definitivo.
Riposa in pace grande campione.