di Giuliano Orlando

Quando sembrava sfumata, è arrivata la sfida del secolo. Non è mai troppo tardi.  La massima, disegna l’evento di sabato 2 maggio all’MGM di Las Vegas alla perfezione. Come la capitale del gioco, che ospita gli incontri di Floyd dal lontano 2006, ben 12 in aggiunta ad altri 12 disputati in precedenza. Di Floyd Mayweather jr. contro Manny Pacquiao se ne parla dal 2008, dopo il trionfo di “Pretty Boy” contro l’inglese Ricky Hatton, dell’8 dicembre 2007. Entrambi imbattuti, l’inglese con 43 successi contro le 38 dell’ americano, che mette in palio lo scettro dei welter WBC, conquistato l’anno prima a spese di Zab Judah. Il match, dopo i primi tre round equilibrati, diventa un monologo di May, troppo abile di fronte ad un panzer che para tutto con la faccia. La soluzione per ko, alla decima. A quel punto, il campione esprime l’intenzione di appendere i guantoni al chiodo, non avendo più stimoli per proseguire. Promessa da marinaio, durata quasi due anni (22 mesi), periodo nel quale incentiva le diverse attività, compresa la sua casa discografica, oltre agli immobili e ai capitali investiti in borsa, che agenti abilissimi fanno crescere come la margherite a primavera. Per tenersi in forma, accetta di battersi nella grande serata (75.000 spettatori)  sempre a Las Vegas, intitolata “Wrestlemania”, ridicolizzando “The Big Show”, indicato come il big della specialità. Impegno pagato dagli organizzatori “solo” 20 milioni di dollari. La metà destinati in beneficenza. Aspetto poco noto, ma effettivo. Nella marea di dollari che gonfiano il suo conto in banca, qualcosa viene indirizzato a chi è meno fortunato di lui. Materiale scolastico, computer soprattutto, per i bambini poveri. Ricordandosi la madre, tossicodipendente, ha creato una fondazione che aiuta i genitori ad uscire dal buio della droga. Non è poi così arido questo immenso campione del ring. Per molti è antipatico, ma potrebbe essere un gioco mediatico, che alla fine si rivela positivo. Fa anche lui errori marchiani, come quando picchia duramente Harris Josie, la mamma dei suoi due figli. Gesto sconsiderato che gli costa parecchi milioni e la condanna al carcere. Questo nel 2013, alla vigilia del confronto con Robert Guerriero, disputato il 5 aprile. Nell’occasione il giudice posticipa l’arresto, permettendo la disputa del match, perché a suo giudizio: “Essendo l’attività pugilistica la professione del signor Floyd Mayweather – scrive il giudice – quindi fonte di guadagno, si rinvia l’arresto subito dopo il confronto, fissato in data 4 maggio 2012”. Una settimana dopo il match, entra nel carcere di Las Vegas, scontando solo 65 dei previsti 87 giorni, grazie alla buona condotta. Nei restanti 22, è impegnato ai servizi sociali.     

Il filippino Manny Pacquiao, nasce nel dicembre 1978, due anni scarsi, più giovane del rivale, ha sulle spalle quasi un trentennio di ring. I primi pugni a dieci anni, nella palestra di Kinawe, il paesino natale, il debutto al professionismo nel gennaio 1995, ancora sedicenne nei pesi mosca. Categoria nella quale conquista la cintura WBC nel dicembre 1998. Da allora scala i vertici assoluti, cingendo l’iride nei supergallo (2001-2003), quello dei superpiuma (2008), dei leggeri (2008-2009), dei welter (2009-2012) fino ai superwelter  (2010-2011). Il 15 marzo 2008, mette in bacheca il titolo superpiuma, a spese del messicano Juan Marquez, col quale nel 2004 era stato costretto al pari, fallendo la conquista delle cinture WBA e IBF nei piuma. Tre mesi dopo, sale nei leggeri e ne diventa campione per il WBC, mettendo ko al nono round David Diaz, il mancino di Chicago, compagno di Mayweather nella nazionale USA ad Atlanta nel 1996. Manny è una furia inarrestabile, il pubblico di Las Vegas e l’immensa platea televisiva ne fanno un idolo. Lui non tradisce, semmai aumenta il credito. Nel dicembre di quel magico 2008, supera un ormai stanco Oscar De La Hoya, che dopo quella sconfitta annuncia il ritiro dal ring. A quel punto i media insistono nel proporre le sfida che vuole la gente: Mayweather-Pacquiao. Sono trascorsi sette anni, prima che questo match si realizzasse. Troppo tardi? Sicuramente entrambi hanno lasciato sul ring molte energie, in particolare il filippino che ha dovuto mettere nel conto qualche sconfitta ingiusta, come quella contro Tim Bradley nel 2012, vendicata lo scorso anno, riprendendosi la cintura WBO welter, ingiustamente sottratta, ma pure quella ben più violenta di fronte all’indomabile messicano Manuel Marquez, nel quarto scontro delle serie, disputato sulla stesso ring dell’MGM che ospita il big evento il 2 maggio, Match drammatico, contati entrambi, finito al sesto round, con una combinazione micidiale del messicano. Pacquiao crolla al tappeto privo di sensi e per qualche minuto si teme il peggio. Al momento del ko, il filippino è in vantaggio per tutti e tre i giudici. Meno di un anno dopo, Bob Arum gli prepara il rientro sul quadrato di Macao, in Cina. Batte in modo disinvolto l’apprezzabile Brandon Rios sui 12 round, per la vacante cinturina Internazionale welter WBO. Poi la rivincita contro Bradley di cui abbiamo già detto. Infine, il 23 novembre 2014 ancora a Macao, la difesa volontaria di fronte all’ex superleggero Chris Algieri che aveva destato sensazione superando il bomber russo Ruslan Provodnikov, sfilandogli il cintura iridata superleggeri WBO, dopo un match sul filo dell’equilibrio. Di fronte al filippino, il trentenne di Huntington, lunga carriera nella kick, passato al pugilato a 24 anni nel 2008, evita la battaglia, anche se non riesce a evitare un paio di conteggi. L’ultimo incontro di  “Pac Man”, prima della sfida attesa sette anni. Molto meno intensa l’attività di Pretty Boy, dal 2009 ad oggi è salito sul ring otto volte, un match all’anno, con l’eccezione del 2014, dove ha concesso il bis all’argentino Maidana, arricchendo il record, giunto a quota 47 senza macchia. Per contro il filippino ha disputato undici match, mettendo nel conto anche due sconfitte. L’americano ha incamerato vittorie nette con Marquez, Mosley,  Ortiz, Miguel Cotto, Guerrero e il messicano di pelo rosso Saul Alavarez, nonostante che un giudice, la signora Cynthia Ross, avesse visto un pari fantascientifico. Non era alla prima svista, anche nel 2012 era stata protagonista in negativo assegnando la vittoria Bradley contro Pacquiao. Tra l’altro non lo faceva gratis, variando il compenso dai 7000 ai 10.000 dollari. Per fortuna è stata bloccata e rimandata a svolgere il lavoro di vendita o acquisti di case. Questo l’iter agonistico dei due attori che fra dieci giorni, faranno crollare tutti i record non solo nel mondo della boxe. Ma di questo parleremo alla vigilia. In fondo Mayweather-Pacquiao val bene due articoli.

Di Alfredo