Hector Camacho ha perso la sua ultima sfida contro un avversario imbattibile, la morte: arbitro di questa sua ineluttabile sconfitta è stata Maria Matias, la madre, che ha dato l’autorizzazione per staccare la spina che lo teneva ancora in vita nell’Ospedale di San Juan, in cui era ricoverato da quattro giorni, da quando una pallottola, sparatagli in un agguato, gli aveva lesionato il cervello.
Purtroppo la morte violenta, una vita condotta al di fuori delle regole e della legalità fanno di lui un personaggio noir, utile per chi vuole mettere in piazza le cose negative per far presa su chi legge o su chi ascolta. Ma al di là di tutto e di tutti Hector Luis Camacho ha pieno diritto ad entrare nella leggenda del pugilato come uno dei più grandi di sempre. Possiamo pure sbizzarrirci in classifiche più o meno credibili e qualche volta più o meno divertenti. Qualcuno pensava che fosse messicano, ma Hector invece era un Portoricano purosangue nato a Bayamon il 24 maggio 1962 con tutti i disagi di una famiglia povera e numerosa. Una nidiata di fratelli costretti, già da piccoli, alla dura legge della sopravvivenza spesso al di fuori della legge. Il Portorico è stato da sempre un’incredibile fucina di campioni, basta ricordare: Wilfredo Benitez, Miguel Cotto, Sixto Escobar, Wilfredo Gomez, Pedro Montanez, Carlos Ortiz, Edwin Rosario, Josè Torres, Felix Trinidad, tanto per citarne qualcuno.
Anche per Camacho la boxe diventa un’ancora di salvezza. Dopo un approccio con il karate a New York, dove la famiglia si era trasferita, sceglie decisamente la boxe, disciplina al cui servizio oltre alla sua indiscussa bravura ci mette anche la sua astuzia, calpestando con abilità il regolamento sotto lo sguardo di arbitri indecisi se intervenire o no. Con lui sul ring era sempre spettacolo da quando saliva coi colori della bandiera portoricana, a quando indossava una specie di corazza da antico romano, da quando faceva sfoggio di sgargianti pantaloncini con tanto di spacco ai lati e pailettes e un ricciolo che si insinuava sulla fronte, un vezzo che poteva far dubitare della sua mascolinità, cosa che fu ampiamente smentita e che gli meritò il nomignolo di “Macho”.
Nel 1978 era già considerato una grande promessa tra i dilettanti dove disputò un centinaio di match con solo 4 sconfitte. L’esordio tra i professionisti avvenne nel 1980 ad appena 18 anni, quasi una regola tra i portoricani. Infila una bella sequela di successi che lo portano nel 1983 ad affrontare il messicano Rafael “Bazooka” Limon per il Titolo Mondiale WBC dei superpiuma, lasciato vacante da Bobby Chacon. Limon era un pugile pericoloso per la sua potenza ed era già stato in precedenza campione. Non ci fu match e nel quinto round il messicano con il viso sanguinante fu rimandato all’angolo. Uguale sorte tocca ad un altro portoricano, Rafael Solis, che prima di andare ko gli rende pan per focaccia. Problemi di peso lo inducono a passare tra i leggeri e arriva imbattuto con 26 vittorie alla sfida con il messicano José Luis Ramirez, pugile incredibilmente bravo, che aveva conquistato il titolo ai danni di Edwin Rosario, che poi aveva strapazzato nella rivincita. Al Riviera Hotel di Las Vegas Camacho impose i diritti di una classe superiore. L’anno successivo deve difendere il titolo dall’assalto di un altro campione portoricano Edwin Rosario, atleta dalle mille risorse ed ex campione. Lo scenario per questi due campioni è il Madison Square Garden, che diventa location di uno dei più bei match degli ultimi tempi. Il combattimento è incerto fino all’ultimo con continui capovolgimenti. Il verdetto a maggioranza premia Camacho. Fu un incontro durissimo che in qualche maniera condizionò il suo modo di combattere futuro: Camacho da quel match serrò di più la sua guardia, cercando di evitare i colpi ma non certo diminuendo le scorrettezze. Ha un fisico più pesante, cosa che lo induce ad abbandonare il titolo dei leggeri per battersi contro Ray “Boom Boom” Mancini per il mondiale WBO vacante. Anche in questa occasione vinse a maggioranza, ma entrò a gran diritto tra i grandi per aver conquistato il Titolo in tre categorie diverse. Un altro italo-americano, Vinnie Pazienza, provò a sbarrargli la strada. Fu un match infiorettato di scorrettezze, ma Hector in questo era abile e lo confermò con una chiara vittoria. Camacho all’epoca si era creato ormai l’ alone di invincibile con la sua destrezza mentale, il carisma, inafferrabile e veloce. La sua prima sconfitta arriva dopo undici anni di vittorie. A propinargliela è Greg Haugen, ex campione IBF, pugile cattivo e scorbutico, non trascendentale, ma difficile da inquadrare. Haugen lo batte facendo saltare le scommesse al Caesar’s di Las Vegas. Dopo tre mesi Camacho si prende la rivincita vincendo con fatica. Si arriva quindi alla supersfida, ad un etichettato “match del secolo” tra Julio Cesar Chavez, campione WBC, e Hector Camacho, campione WBO. Vista la qualità dei due e il loro modo di combattere è un pronostico da tripla. Ancora una volta Las Vegas ospitò l’ennesimo titolo mondiale tra due atleti all’apice della loro carriera. Entrambi si erano allenati come non mai, consapevoli della posta in palio che travalicava il titolo mondiale come se fosse un optional. Era la sfida tra i due più bravi, i due più forti. Chavez però era Chavez, se ne accorse ben presto Camacho, ma quando il suo secondo, gli chiese, viste le sue condizioni, di abbandonare il portoricano gli rispose sdegnosamente di no resistendo fino all’ultimo, nonostante Chavez avesse cercato di abbatterlo in ogni modo. Entrambi campioni del mondo, entrambi trent’anni, Messico contro Portorico: il toro messicano aveva incornato il matador portoricano per la gioia delle casse di Don King, felice organizzatore di quell’evento. Camacho non smette di appesantirsi, un po’ come accadrà a grandi campioni come Chavez e Duran. Ha una carriera pesante alle spalle, non ce la fa contro l’astro emergente Felix “Tito” Trinidad e poi con Oscar De La Hoya. Si toglie, da peso medio, la soddisfazione di battere Roberto Duran e Ray Leonard, ma sono l’ombra dei grandi campioni che furono. Nel 2005 appende i guantoni al chiodo, le sue traversie giudiziarie e penali non si contano. Ritorna sul ring dopo tre anni. Nel 2010 il ritiro definitivo a 48 anni con un record di 79 vittorie, 3 pari e solo 6 sconfitte, senza aver subito mai l’onta del ko. Noi lo vogliamo ricordare solo così…
(Al. Br.)