UN ARTICOLO DI PARIDE LEPORACE (GIORNALISTA, SCRITTORE, SAGGISTA)
Nella sua vita c’era puzza di angiporto e di vecchie palestre neorealiste che ispirarono Luchino Visconti. Ma anche il profumo dei soldi e del successo del boom. Il saliscendi della vita e un marchio finale. Un grande campione italiano. Si chiamava Duilio Loi, Domenica alle 6,30 nella casa di riposo Padre Pio di Tarzo nel suo Nord Est il cuore del gladiatore si è fermato per non subire più l’Alzaheimer che lo assediava da tempo. Aveva 78 anni. Vissuti da campione e da protagonista della vita. Il 4 giugno del 2005 il suo nome era stato iscritto nella leggenda della Hall of fame del pugilato. Il nome di Loi insieme a quello di Clay e ai più grandi perché lo meritava. Chiedetelo a quei giovanotti impomatati che negli anni Sessanta si esaltarono delle sue gesta. Primo settembre 1960. Luci a San Siro, sugli spalti dello stadio milanese siedono 53000 spettatori per un incasso mai superato per la boxe di cento milioni di lire dell’epoca. Duilio nell’angolo apposto affronta chi lo ha sconfitto a San Francisco. Carlos Ortiz è un tignoso portoricano come solo un portoricano può essere. E che quel mach sia leggenda si deve anche al tempo in cui i giornali dovevano narrare la boxe come Omero ha spiegato. Perché il Corriere della Sera manda in quella bolgia un certo Dino Buzzati. Che si schernisce di non conoscere la boxe. Ma per scrivere di cazzotti devi conoscere la vita. L’attacco è da brivido: “Lo stadio diventò un fischio solo quando, sotto la batteria accecante dei riflettori sospesi sopra il ring, comparve la bandiera americana. Non era evidentemente rivolto alla bandiera americana, bensì ad Ortiz, che preceduto dei suoi fidi, stava avvicinandosi al quadrato”. Andrà al tappeto Ortiz nel tripudio dei 53000 che poi al termine delle 15 riprese possono osannare Duilio che mostra l’unghia spezzata e ridendo grida “Dicono che non ho cuore, dicono che non so combattere”. Lui che il cuore lo aveva messo a dura prova da piccolo. E’ una domenica del 1943 a Genova nel quartiere di Terralba. Loi ha 15 anni, frequenta le scuole dei Padri Emiliani. Si avvicinano due carabinieri. Gli chiedono della mamma. Una triestina cucitrice che ha 17anni e a Cagliari ha incontrato Vittorio Loi, una sorta di personaggio salgariano, capomacchina iscritto nel libro di bordo del Lloyd triestino. Il mercantile Campobasso in rotta di navigazione verso l’Africa è stato affondato da un siluro britannico. Il maresciallo gli chiede “Sei figlio unico?”. Duilio risponde “Sono l’unico figlio maschio”. “Debbo darti una brutta notizia. Tuo padre è morto in mare. Sarai tu il capo di casa”. E gli dà un buffetto sulla guancia. Dicono che da quella domenica Duilio fu preso da una rabbia cieca e da un’ombra nera che sarà il suo humus da dove trarre la forza del pugile che vuole stare sul tetto del mondo. Il resto si deve al nome. Duilio lo aveva chiamato il padre. Come il celebre incrociatore che nella guerra del 1915-18 tenne da solo in scacco la flotta austriaca. E Duilio terrà in scacco la boxe mondiale. A 19 anni professionista dei leggeri. A 21 campione italiano. A 23 è campione europeo battendo in Danimarca Johansen. Ma deve ancora soffrire. La borsa dell’incontro viene dispersa dai soliti mafiosi del ring. Loi è senza soldi. Va ancora alla “Porta di vacca” la compagnia degli scaricatori di porto che distribuisce la mano d’opera. A cavalcioni sulle assicelle sospese alle strutture esterne delle navi, toglie con il martello le alghe selvagge e gli passa l’antiruggine. La pelle delle mani del campione d’Europa brucia. Quelle mani devono vincere. E così sarà. Sarà un crescendo di vittorie quello tra il 1960 e il 1962. Nella Hall of fame sta scritto che ha combattuto 126 mach, 90 vinte ai punti, 25 ko, 8 pareggi e solo tre sconfitte. Contro Johansen, Ortiz e Perkins, sempre poi battuti nella ripetizione. Non ha mai perso sul ring un titolo italiano ed europeo. Da campione del mondo dei welter jr difese tre volte anche l’europeo dei welter. Una leggenda. Ora che la boxe non ha più Brera, Rosi e Buzzati qualcuno dovrebbe anche raccontare sfide epiche con Gabelli, Visintin e Manca. É già qualcosa che i giornali abbiano ricordato del suo incontro con il triestino Benvenuti giovanotto. Dicono che aveva stile pugilistico. Ma la vita con un boxeur sa essere spesso amara. Sono gli anni Settanta a Milano. Vittorio, il figlio di Duilio, in quegli anni ruggenti le storie dell’incrociatore e del nonno marinaio lo hanno fatto diventare camerata. Va il 12 aprile 1972 alla manifestazione della maggioranza silenziosa con una granata d’esercitazione che ammazza un agente di polizia. Sarà duramente condannato. Duilio Loi dallo sport alla cronaca nera. Nel 2000 la figlia è costretta al solito lamento boia. Deve lanciare un appello. Il padre vive di stenti con una pensione di seicentomila lire. Arriverà il vitalizio statale come era già accaduto per Tiberio Mitri. E la boxe. Povero in canna, vecchio e malandato in casa di riposo. Ma alla fine ha vinto lui. Duilio Loi. L’unico pugile che fece impazzire San Siro.