di Luca De Franco
Il doping nello sport è un argomento di cui si parla per 365 giorni all’anno. Spesso lo si fa senza una preparazione specifica. Ancor più spesso vengono proposte teorie strampalate come quella che il doping sarebbe sufficiente per trasformare un brocco in un campione. Un’opinione autorevole e utile per chiarire molti dubbi è quella di Marco Ceriani. Nato a Tradate il 3 dicembre 1963, laureato in Scienze delle preparazioni alimentari all’Università Statale di Milano, Ceriani è esperto in nutrizione, benessere e allenamento.
E’ consulente per la nutrizione e la supplementazione di numerose aziende, oltre che di atleti e team professionistici. Il più famoso dei suoi clienti è stato il grande campione di ciclismo Marco Pantani, con cui ha lavorato per cinque anni. Ceriani ha anche descritto la sua esperienza con il compianto “Pirata” nel libro “I diari della borraccia” (edito dalla Liberia dello Sport). Inziamo questo discorso sul doping parlando proprio di Pantani.
Ceriani, quanto ha influito il doping sulle vittorie di Marco Pantani?
“La ringrazio per la domanda perchè mi aiuta a chiarire un equivoco: troppa gente pensa che Marco fosse un dopato e un tossico, ma non è mai risultato positivo all’antidoping e non ha mai fatto uso di cocaina quando gareggiava. Pantani è stato fermato perchè aveva l’ematocrito superiore a 50. Mettere un limite all’ematocrito uguale per tutti non ha senso. Ci sono atleti che hanno un ematocrito naturale a 40 e quando gareggiano sale sopra i 50, ma la loro salute non è in pericolo. Marco vinceva anche a 14 anni e nell’ambiente tutti dicevano che avrebbe vinto tantissimo da professionista. L’ho conosciuto nel 1994 e frequentato fino al 1999. Posso dichiarare senza timore di smentite che in quei cinque anni non faceva uso di cocaina o di altre droghe. Quando lo hanno fermato per l’ematocrito alto, hanno pensato di salvargli la vita. In realtà, lo hanno ucciso perchè Marco era troppo fragile caratterialmente per sopportare lo stress causato dalla squalifica e da tutte le inchieste che sono seguite. L’assurdo è che tutte le inchieste si sono concluse in nulla perchè il fatto non costituiva reato o perchè non ce’era niente da trovare. Per tre anni, Marco si è allenato senza sapere se avrebbe potuto riprendere a correre. E lo stress è aumentato in maniera esponenziale. Pantani merita di essere ricordato come un grande campione. Nell’unico anno in cui non ha avuto infortuni, il 1998, ha vinto sia il Giro d’Italia che il Tour de France”.
Nel mondo dello sport si è sempre pensato che i media enfatizzino l’importanza del doping perchè nessun brocco può diventare un campione assumendo sostanze illecite. Concorda con questa teoria?
“Ovviamente si. Basta ragionarci per capire che il doping non può fare miracoli. Se li facesse, tutti correrebbero i 100 metri in 9 secondi. Ogni gara importante sarebbe vinta da un atleta diverso. Invece, vincono sempre gli stessi. Questo perchè campioni si nasce. La prima qualità del campione è la genetica. Se il campione sente la necessità di migliorare la sua prestazione agonistica, gli basta una quantità infinetesimale di principio attivo. Il brocco tende a prendere più sostanze del necessario mettendo in pericolo la propria salute. Lo stesso vale per gli amatori. Il doping può fare molte vittime tra le persone comuni che prendono qualche pillola per giocare la partitella settimanale con i colleghi, senza sapere quali siano gli effetti negativi ed eventuali incompatibilità con altri farmaci. Quando si parla di doping, non bisogna limitarsi al mondo dello sport, ma tirare in ballo anche le persone comuni”.
Nel ciclismo sembra che i controlli siano più severi in alcune gare a tappe, per l’alto numero di atleti positivi all’antidoping. E’ vero che esiste una differenza di metodologia fra le varie competizioni?
“Non è vero. I controlli sono sempre gli stessi, approvati dalla World Anti-Doping Agency. E’ possibile, invece, che in alcune gare ci siano meno addetti ai controlli. Se si fanno meno controlli, per mancanza di organico, è logico che si trovino meno atleti positivi. Ma i controlli durante le gare sono solo una parte della totalità: il ciclismo è l’unico sport in cui si impone agli atleti di essere sempre reperibili e li si sottopone a controlli anche quando sono in vacanza. E’ esagerato fare l’antidoping a un ciclista subito dopo che è andato a cena con gli amici ed ha bevuto mezza bottiglia di vino perchè sa che non deve gareggiare per un mese”.
In definitiva, ha senso fare i controlli antidoping ai ciclisti durante il periodo di inattività?
“Il senso c’è: verificare che siano negativi anche quando non gareggiano. Chi si dopa, in genere, lo fa tutto l’anno; durante la gara utilizza sostanze che coprono quelle illecite. Per questo, si criticano gli atleti che scelgono di fare solo alcune corse; sapere esattamente il periodo in cui è obbligatorio sottoporsi all’antidoping serve per studiare una strategia per risultare negativi senza mettere in pericolo la salute. Ignorare quando arriveranno i controlli dovrebbe scoraggiare gli atleti a doparsi. Come ulteriore controllo, adesso i medici vanno alla ricerca anche delle sostanze coprenti e dei marcatori. Mi spiego: quando le aziende producono i farmaci inseriscono in essi delle molecole (definite marker = marcatori) per individuarli all’interno dell’organismo. Sapendo che un farmaco contiene una determinata molecola, se il farmaco non risulta al normale controllo antidoping, il medico cerca la molecola”.
Uno sport in cui il numero dei campioni positivi all’antidoping è molto basso è il pugilato. Ci spieghi per quale motivo.
“Nel pugilato è necessario essere sempre efficienti, lucidi e reattivi. Le droghe calmanti – tipo la marijuana – sono controproducenti. Le droghe stimolanti – come la cocaina – sono pericolose perchè aumentano il battito cardiaco in maniera esponenziale. Assumendo eccitanti, il pugile inizierebbe il combattimento con un battito cardiaco accelerato, come se avesse già disputato tre o quattro riprese. Nel caso della cocaina, il suo effetto è troppo breve per essere utile: considerando che i pugili salgono sul ring una ventina di minuti prima dell’inizio del match, l’effetto della cocaina sarebbe già esaurito al suono del primo gong. Le anfetamine, il cui effetto dura a lungo, fanno gonfiare tanto il fegato che al primo pugno in quella zona, il pugile cadrebbe a terra in preda a dolori fortissimi. L’ormone della crescita (il Gh) non serve perchè l’aumento della massa muscolare diminuisce la velocità delle azioni. Nel periodo in cui si allenano (almeno due mesi prima della sfida), molti pugili hanno due problemi: addormentarsi e perdere peso. Per risolvere il primo problema, consiglio la melatonina (che non è un farmaco, ma un integratore) perchè aiuta a regolarizzare il ciclo veglia-sonno. Per il secondo, è necessario alimentarsi nel modo corretto. Chi deve perdere peso in breve periodo e lo fa senza consultare un professionista, rischia la disidratazione e questo porta all’affaticamento del cuore (senza acqua il sangue si concentra, il cuore batte più velocemente e si rischia l’infarto)”.
Quindi, chi vuol fare vita sana deve praticare il pugilato?
“Esattamente. Lo dice sempre Marvin Hagler, uno dei più grandi campioni di tutti i tempi. Tra il 1973 e il 1987 ha sostenuto 67 combattimenti: 62 vinti (52 per ko), 2 pareggiati e 3 persi. Dal 1980 al 1987 è stato campione mondiale dei pesi medi. Oggi, a 56 anni, è ancora in perfetta forma psico-fisica. E’ un esempio per tutti”.
Ha citato la melatonina, ma gli integratori non hanno controindicazioni?
“Gli integratori non possono far male ad un soggetto sano perchè non sono farmaci, ma prodotti che servono ad integrare la corretta alimentazione. Ma questo è un argomento lungo, che merita di essere affrontato in un’altra occasione per non confonderlo con il doping”.
Tratto da Affaritaliani.it