Non solo la boxe ma tutto lo sport italiano è in lutto per la morte di Giulio Rinaldi, grande campione degli anni ’60. Da tempo lottava contro un male incurabile e alla fine la sua forte fibra ha ceduto all’età di 76 anni essendo nato il 13 febbraio 1935 ad Anzio. Le esequie si svolgeranno oggi 18 luglio ad Anzio nella chiesa di Sant’Antonio in piazza Pia alle ore 16. La Federazione e tutto il mondo della boxe si stringe con affetto attorno ai famigliari del Campione in questo triste giorno.
Giulio Rinaldi fu un ottimo pugile da dilettante e la sua carriera culminò con la partecipazione alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956, dove dopo aver superato il primo turno non si presentò nel seguente per un infortunio subito. L’anno successivo esordì tra i professionisti affidandosi alle cure di Luigi Proietti, grande manager dell’epoca. Fu un personaggio particolare con atteggiamenti polemici, ebbe un gran seguito: oltre ai suoi fans molti andavano a vedere i suoi incontri per vederlo perdere.

Rino Tommasi, giovane organizzatore, capì subito che l’anziate era il personaggio ideale per calamitare l’attenzione di pubblico e massmedia. Aveva un fisico eccezionale e un’agilità fuori del comune per la categoria dei mediomassimi, era anche furbo e tatticamente intelligente, con una discreta potenza che non guastava certo tra gente di 80 kg..Dopo 21 incontri divenne lo sfidante al titolo italiano detenuto da Sante Amonti, un beniamino del pubblico italiano. L’8 marzo del 1960 Giulio compì il suo primo capolavoro mettendo kot in due riprese tra la sorpresa generale il forte avversario. Era diventato campione d’Italia, ma aveva acquistato anche maggiore quotazione internazionale che confermò all’inaugurazione del Palasport all’Eur superando un test difficile come il francese Germinal Ballarin. Ormai era diventato una vera e propria vedette e la gente(molti lo odiavano) accorreva in massa riempendo il Palasport fino a 17mila spettatori. Le sue vittorie su uomini di valore mondiale come Donnie Fleeman e Johnny Halafihi diedero coraggio a Rino Tommasi di tentare una carta impossibile: far venire a Roma quello che era una leggende, parliamo di Archie Moore. L’impresa riuscì all’organizzatore e la sera del 29 ottobre del 1960 in un Palasport stracolmo si potè assistere ad un’impresa memorabile. Moore forse aveva sottovalutato l’italiano e gli aveva lasciato l’iniziativa nei primi rounds. Ma quando il fuoriclasse americano si accorse che il suo avversario era pericoloso tirò fuori gli artigli con un sinistro da antologia. Le cose non si mettevano bene e Rinaldi ad un certo punto manifestò a Proietti l’intenzione di abbandonare, il manager lo redarguì aspramente. Nel nono round si vide il nostro pugile deciso a giocarsi fino in fondo le sue chances. Nel decimo Moore fu chiuso all’angolo e fu martellato duramente senza avere la possibilità di uscire, il pubblico capì che quella era la svolta e ci fu un vero e proprio boato quando l’arbitro contò il negro fino a 8. Fu una vittoria che fece scalpore e si organizzò la rivincita con il titolo mondiale in palio al Madison Square Garden. Quello che il 10 giugno si presentò nel Tempio della boxe americana non era il miglior Rinaldi e Moore vinse ai punti in 15 riprese. Accantonate momentaneamente le mire mondiali il pugile di Anzio dopo una bella serie di vittorie affrontò, sempre a Roma, lo scozzese Chic Calderwood, campione d’Europa. Rinaldi vinse nettamente ai punti in 15 riprese. Dopo questo successo fu inchiodato al pari dall’hawaiano Carl “Bobo” Olson, ex campione del mondo, e da Wayne Bethea. Quest’ultimo era l’uomo che aveva distrutto Franco De Piccoli. Fu un match molto rischioso per il nostro campione, tenendo conto che l’americano era molto più pesante. Questo Bethea incassava anche le bombe e faceva male. Rinaldi fece un match d’intelligenza e strappò il pari, che forse gli andava pure stretto. L’anziate si tolse un’altra soddisfazione difendendo il suo titolo europeo e fu quella di essere stato l’unico pugile a superare Erich Schoppner, grande campione tedesco, che fu per anni dominatore incontrastato in Europa. I tedeschi cercarono disperatamente la rivincita in una categoria che li aveva visti dominatori. Rinaldi accettò di andare a Dortmund ad affrontare un’altra leggenda: Gustav “Bubi” Scholz. Non fu un bel match ma l’italiano stava vincendo e l’arbitro spagnolo Sanchez Villar risolse il problema squalificando il nostro atleta al nono round. Non finì li la carriera di Giulio che riconquistò il titolo ai danni di un altro tedesco, costringendolo al ritiro nel 13mo round. Nella difesa successiva Rinaldi si trovò di fronte l’emergente Piero Del Papa, che lo superò ai punti. Rinaldi aveva 31 anni, una carriera dura alle spalle, con qualche problema nel rientrare nel peso. Qualche sconfitta subita metteva a nudo le crepe del tempo, ma si tolse una piccola soddisfazione riconquistando il titolo italiano nel 1970 battendo per squalifica Gianfranco Macchia, titolo che poi lasciò in mano a Domenico Adinolfi. Questo fu il suo ultimo match. Per un periodo si allontanò dalla boxe per riapparirvi negli anni ‘80 aprendo una palestra. Salvatore e Pietro, i suoi figli, salirono sul ring, ma disputarono pochi matches. Lo avevano fatto per accontentare il loro genitore. Giulio era molto presente alle riunioni dell’epoca, era spesso ospite d’onore. Ma un giorno qualcosa cambiò in lui, la diagnosi fu impietosa e incominciò l’ultimo combattimento, dove non avrebbe mai potuto vincere.

Di Alfredo

Un pensiero su “Lutto nella boxe per la morte di Giulio Rinaldi”
  1. Purtroppo se n’è andato uno degli ultimi veri campioni italiani.Un vero peccato non ce ne siano più come lui e che non ci sia più il vero pugilato.Un ventennio di boxe buttata via….Dilettanti che combattono con le regole delle play station o quasi,sette otto sigle mondiali con campioni,vice e vice dei vice con campioni giovani e vecchi.Migliaia di cinture assegnate e pochi veri pugili.Poi un giorno qualsiasi muore il grande Giulio e solo pochi se lo ricordano.Segno che lasciano più il segno i buffoni che i campioni autentici.Ciao grande Giulio

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