di Gabrile Tinti
Corrono in fretta e cambiano le notizie nel mondo del pugilato. Perché a cambiare sono le strategie, gli equilibri di forza, i programmi, a cambiare sono le politiche degli organizzatori che fanno quelle notizie e determinano quei mutamenti.
Nell’arco di un mese – ad esempio – Paulie Malignaggi è stato dato come vittima sostitutiva – e naturalmente sacrificale – rispettivamente di Pacquiao e di Mayweather e al contempo avversario utile per la scalata negli USA di Amir Kahn.
Niente di tutto questo pare si potrà realizzare, visto che Pacquiaio incontrerà il ghanese Clottey, Khan sembra – in attesa di smentite – accetti la terribile sfida Maidana e Mayweather la puntata dell’intramontabile Mosley.
Niente di fatto dunque per Malignaggi. Almeno per ora. Anche se tutto questo interesse verso il pugile siciliano testimonia che la sua ennesima resurrezione concretizzatasi nella vittoria ribadita contro Diaz, in una rivoluzione all’angolo ed in un consolidarsi della consulenza e della gestione Catanzaro- Di Bella ha dato i suoi frutti. In questo momento le quotazioni del ragazzo italo americano sono al massimo e HBO rimane nei suoi confronti sempre pronta ad investire. D’altronde come non farlo quando hai un ragazzo così, bianco, bello e biondo (dicevano lo stesso di un certo Nino Benvenuti, l’eredità è quindi di un peso enorme), capace di riempirti in un niente il Madison e di fornire uno spettacolo vero, quello fatto di esaltazioni, onore, grinta e cuore. Uno spettacolo che smuove dentro anche se non c’è quasi mai il k.o. Perché Malignaggi danza, resiste (ricordate il suo volto tumefatto nel dopo Cotto?), colpisce con stile sapiente, sa – tra non molti al mondo – fare davvero la boxe. E ha un cuore che non si sa. Ha un orgoglio che viene da lontano, ha origini antiche, le nostre. Sa soffrire, perdere. Senza arrendersi. Quando quello che è oramai il suo angolo passato gettò la spugna contro Hatton, o quando la pressione di un Cotto al top – non certo l’ombra di ciò che era com’è adesso – si faceva insostenibile, Malignaggi mostrava nonostante tutto di crederci, di saper contrastare la resa, per continuare a combattere e tentare la vittoria. Non c’entra la retorica. C’entra il modo in cui si sta in piedi di fronte ad un avversario e di come si accetta una sfida e di come di quella sfida si accettano la paura e il dolore, si accettano i pugni.
Con quella faccia un po’ così poi, pulita, da bravo ragazzo, stupisce che dietro possa esserci tanto. Ma d’altronde non vale stupirsi se si pensa che poi alla fine è vero che “ i campioni non si fanno nelle palestre, i campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione” (Muhammad Alì).
Interessante, competente e profondo il pezzo.
Spero di leggere ancora qualcosa dall’estensore.
Saluti
Andrea