di Leonardo Pisani
Se ne andato 10 anni fa esattamente, il 18 marzo 2012, con il suo stile sobrio, in punta di piedi, perché Rocco Mazzola era un campione non soltanto di pugilato ma anche di umiltà ed educazione: mai una parola contro qualcuno, sempre con il sorriso stampato sul suo faccione da antico peso massimo, pronto a dare consigli per diventare migliori, non solo come pugili ma come persone. Cos’ era Rocco Mazzola, negli annali sportivi, ricordato come campione italiano assoluto nei dilettanti categoria pesi mediomassimi e nei professionisti fu iridato nei mediomassimi e nei massimi. In Basilicata era per tutti “Il gigante buono”, sempre pronto a scherzare, a far finta di dare un suo micidiale destro. Mazzola era il simbolo della potentinità e della lucanità nel mondo: già dall’aspetto sembrava che in lui si fossero fuse tutte le etnie di questa antica terra: La Lucania degli Enotri, dei Magnogreci, degli Osci e Sanniti, dei Longobardi e Normanno-Svevi. Cresciuto in una Potenza in piena crisi di guerra e con tanta fame, sotto i bombardamenti, Rocco Mazzola era un miracolo di genetica: poco cibo, tanto lavori fisici per sopravvivere, un fisico da statua greca, sembrava che fosse stato Prassitele a scolpirlo e non l’allenamento del maestro della Boxe Potenza. Sempre un incoraggiamento a migliorarsi, ad impegnarsi di piu’. Nello sport come nella vita ha lasciato una traccia indelebile nella sua amata Potenza e nel cuore dei lucani; come sportivo, come lucano e come uomo.
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Era anche un esempio da imitare per tutti coloro che hanno varcato una palestra di boxe a Potenza, Michele Napoli, nipote diretto del Gigante Buono di Potenza lo ricorda con queste parole:
“Ci ha lasciato con il suo stile insolito ed indelebile al tempo stesso. In silenzio. In punta di piedi. Forgiato dei valori della nostra terra, non poteva che andare via così. In questo suo lungo viaggio ha dato prova, meglio di chiunque altro, della “potentinità”.
Una miscela perfetta di umiltà, di sacrificio, di dedizione che neppure i tanti successi sportivi conseguiti hanno mai scalfito. Un esempio di sobrietà comportamentale. Mai una parola “contro”. Sempre un incoraggiamento a migliorarsi, ad impegnarsi di più. Nello sport come nella vita. E poi, il rispetto per gli altri ed il sorriso stampato sulle labbra di un volto che portava i segni inequivocabili di uno sport che tempra l’uomo nell’anima e nella mente. Tra i tanti ricordi, i suoi due “libroni” disposti sul tavolinetto di un amplissimo salone. Era lì che, prima dell’ora di pranzo ed immediatamente dopo, trascorrevo parte del mio tempo. Leggevo le gesta di un uomo tanto forte, pugilisticamente parlando, ma straordinariamente normale nella vita di tutti i giorni. Li avrò sfogliati centinaia di volte, senza mai stancarmi. Con un sussulto di emozione ogni volta nuova diversa
Raccontavano la sua storia pugilistica e, con essa, la sua vita. E lui lì a raccontarmi, con il uso dire genuino, aneddoti ed episodi mai neppure menzionati che continuerò a custodire gelosamente.
Era fatto così “il gigante buono”, capace persino di prendersi gioco di sè stesso quando mi confidava dei suoi timori prima di ogni match e del dolore che accusava alla mano destra dopo ogni incontro disputato.
Ora e’ andato via. Dalla vita terrena. Non certo dai nostri cuori e dai nostri ricordi.
Grazie di tutto, Campione vero”.