di Massimiliano Bianco

massimiliano.jpgNegli sport da combattimento il peso corporeo ha un ruolo molto importante. Questo è vero sia nelle discipline sportive dove il confronto tra gli atleti è a lunga o media distanza (kick-boxing, thai-boxe, savate, pugilato, ecc), sia negli sport di lotta (greco-romana, libera, judo, ju-jitzu brasiliano, ecc). Se in questi ultimi una differenza di peso corporeo si fa risentire negli sbilanciamenti, nelle prese, nelle leve e nelle proiezioni, con l’atleta più pesante che generalmente è facilitato, negli sport dove è prevista una distanza maggiore e dove si utilizzano colpi (pugni, calci, gomitate, ginocchiate) di solito l’atleta più pesante è ancora una volta avvantaggiato, perché generalmente provvisto di maggiore forza e potenza muscolare. Proprio per queste ragioni negli sport da combattimento gli atleti vengono suddivisi in differenti categorie di peso per poter competere e, se inizialmente queste categorie avevano margini molto ampi (nel pugilato del 18° secolo, per esempio, esistevano solo i pesi leggeri, i mediomassimi ed i massimi), pian, piano si è capita l’importanza che una differenza di pochi chili potesse avere nel determinare l’esito di una gara e dei rischi sanitari connessi e, di conseguenza, le categorie di peso si sono moltiplicate. Nella boxe in maglietta oggi si contano 11 categorie di peso (13 per il sesso femminile), mentre nei professionisti si arriva a 14-17 a seconda delle differenti sigle.
In realtà, quando si parla di peso corporeo, si intende il peso di tutto l’organismo, composto di muscoli, grasso, ma anche ossa, organi interni, sangue, ecc. Certamente un atleta di alto livello sarà fisicamente diverso da un sedentario di pari peso: sarà più muscoloso e avrà meno grasso, avrà, cioè, una composizione corporea molto diversa. L’allenamento e la corretta alimentazione, nel tempo (mesi/anni), portano proprio a queste modificazioni del nostro fisico cosicché un atleta, con maggior massa muscolare rispetto ad un pari peso sedentario, potrà sviluppare una forza ed una potenza muscolare decisamente superiori. Alla stessa maniera, volendo confrontare due atleti appartenenti alla stessa categoria di peso, è verosimile che chi avrà una composizione corporea più sbilanciata verso la massa muscolare e con meno grasso, sarà dotato di maggiore forza e potenza muscolare. Nel determinare l’esito di una gara concorrono numerosi fattori, come l’abilità tecnica e tattica, la motivazione, la prontezza di riflessi ed ancora molti altri, ma sicuramente, a parità di tutti questi fattori, chi è dotato di più massa muscolare è sicuramente avvantaggiato. Tra due piloti di formula 1 di pari esperienza e livello, sicuramente vincerà chi avrà l’automobile più veloce!
Scopo dell’atleta e dei suoi tecnici, quindi, sarà, sin dall’inizio dell’attività agonistica, cercare di individuare la categoria di peso ottimale in cui gareggiare, per poter esprimere al meglio le proprie potenzialità. In questo è necessario rapportarsi con professionisti (medici o nutrizionisti) con adeguata esperienza nel settore, che possano individuare in maniera scientifica il peso corporeo ideale per quel singolo atleta e che siano di supporto nel suggerire un piano alimentare che, associato ad una corretta programmazione nel tempo dell’allenamento, possa condurre al peso e alla composizione corporea ottimali.
Molto spesso nelle discipline sportive da combattimento (specialmente negli sport da ring) c’è la tendenza a cercare di scendere di peso il più possibile. In teoria l’idea non è sbagliata: se l’atleta scende di una categoria di peso, incontrerà avversari più leggeri (quindi con meno forza e potenza muscolare) e disporrà, molto probabilmente, di leve più lunghe. In pratica, purtroppo, non è così. Per scendere al di sotto del peso corporeo ottimale, si deve intaccare in maniera negativa la composizione corporea. Sottoponendosi a diete fortemente ipocaloriche e molto sbilanciate (quindi dannose), si perderà massa magra, cioè liquidi e muscoli. Se da un lato, perdendo massa muscolare si ridurrà sicuramente anche la forza e la potenza muscolare (quindi il “peso” e la velocità dei colpi o delle tecniche), dall’altro la perdita di liquidi (disidratazione) porterà ad un inevitabile calo della prestazione fisica. Un pugile di 72 kg, per esempio, che tenta di passare alla categoria di peso inferiore arrivando a 69 kg mediante la disidratazione (deprivazione di liquidi, sauna, allenamento con indumenti plastificati, ecc), perdendo quindi circa il 4% del proprio peso corporeo, avrà una riduzione della propria prestazione pari ad un 4-6%, a discapito di velocità, forza, resistenza, ma anche lucidità e motivazione. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la disidratazione comporta rischi sanitari importanti:
– riducendo il volume di liquido in cui il nostro cervello “galleggia” (liquido cefalo-rachidiano) espone ad un maggior rischio di traumi encefalici seri (commozione e contusione cerebrale);
– aumenta la possibilità di avere colpi di calore, con importante ed eccessivo aumento della temperatura corporea (con un quadro del tutto simile all’insolazione che si prende nei mesi estivi, al mare, dopo parecchie ore di esposizione al sole);
– altera il funzionamento dell’apparato cardiovascolare, dei reni, del sistema nervoso e di quello neuro-muscolare.
Non dobbiamo dimenticare che l’acqua è il principale costituente del nostro organismo e un qualsiasi piano alimentare deve provvedere un’adeguata introduzione di liquidi, che per gli atleti si aggira intorno ai 2,5-4 litri al giorno, a seconda dell’entità delle perdite (sudorazione, diuresi, ecc). Il supporto di un medico o di un nutrizionista è quindi fondamentale nell’obiettivo di raggiungere un peso corporeo ed una composizione corporea ottimali. Suggeriranno, infatti, un regime dietetico equilibrato, con il corretto contenuto di energia (calorie) a seconda delle esigenze dell’atleta in questione (un adolescente, in crescita, per esempio, dovrà introdurre un po’ più calorie e proteine di un adulto), un adeguato apporto ed una giusta proporzione di macronutrienti (zuccheri, proteine e grassi) e di oligoelementi (sali minerali, vitamine, calcio, ferro, ecc). Bisogna, a questo punto ricordare che una dieta praticamente priva di grassi, (spesso auto-somministrata dagli atleti o suggerita da tecnici o da compagni di allenamento) è sicuramente dannosa. Nei grassi, infatti, sono contenuti particolari nutrienti fondamentali per un corretto funzionamento del nostro organismo, come alcune vitamine (la vitamina A, il gruppo vitaminico B, ecc) e gli acidi grassi essenziali (che il nostro organismo non sa produrre e che possono essere considerati analoghi di vitamine). Inoltre, ogni singola cellula del nostro corpo è delimitata da una membrana (la membrana cellulare) composta in grandissima parte di grassi. Se questi si riducono in maniera eccessiva, le cellule diventeranno più “rigide”, non riusciranno più a comunicare correttamente tra loro e ci sarà un malfunzionamento generale. Ecco perché sono stati proposti dei valori di percentuale di massa grassa corporea sotto cui non scendere, per evitare condizioni patologiche: per il sesso maschile il limite suggerito è il 4-5%, per quello femminile è il 12-15%. Va detto, tuttavia, che questi sono valori estremi e che gran parte degli atleti che gareggiano in sport da combattimento hanno valori percentuali di massa grassa più elevati, pari a circa il 12-15% nei sesso maschile e al 16-20% in quello femminile.
Il medico dello sport, infine, potrà essere d’aiuto, oltre che nell’identificazione di un peso corporeo e di una composizione corporea ideale e nella prescrizione di un regime alimentare equilibrato, nel monitorare gli effetti del programma di allenamento, potendo fornire preziose indicazioni ai tecnici sulla modalità e i tempi di somministrazione dei carichi di lavoro. È sempre più evidente, ormai, che, per ottenere risultati agonistici di rilievo, non si può più puntare sul singolo tecnico o atleta particolarmente dotato, ma è necessario un “gioco di squadra” con competenze che si integrano vicendevolmente.

Di Massimo