Coluzzi davanti al suo bar luigi-coluzzi4181 come oggetto avanzato-1 Luigi_Coluzzi Coluzzi-420x0 10646881_1488138684781693_7745584687066960040_n 1374293_10154788733320534_1597509991053301768_nLuigi Coluzzi ci ha lasciato domenica nella sua Sydney alla bella età di 84 anni. Chi ha seguito la boxe degli anni ’50 ricorderà questo pugile romano che affrontava con disinvoltura i più forti della classe che circolavano in Italia. Aveva cominciato come peso leggero, ma la fatica a fare il peso lo convinse a passare subito tra i welter, per finire da peso medio, un trend che lo ha accompagnato per circa 13 anni di professionismo ad alti livelli sia in Italia, sia in Australia che diverrà la sua residenza e seconda patria. Il manager era Luigi Proietti, che spesso accompagnava i suoi pugili a combattere nella terra dei canguri, una sorta di terra promessa dove i nostri riuscivano a guadagnare bene e in alcuni casi a sistemarsi definitivamente. La sua carriera non ebbe un inizio brillante pur avendo superato gente valida come Stefano Bellotti e Italo Scortichini. Il suo primo impatto con l’Australia lo ebbe in Inghilterra affrontando Ivor Germain, pugile delle Barbados residente nel vasto continente dell’Oceania, appartenente allora al Commonwealth. Il pugile romano uscì allo scoperto con i successi sul tarantino Vernaglione e su Vescovi, un duro capace con la sua foga di capovolgere qualsiasi tipo di match. Luigi conosceva la boxe come pochi, aveva grazie a Proietti fior fiore di sparring: da Mitri a Visintin, da Scisciani a Rinaldi, tanto per fare alcuni nomi. Campioni con i quali non sfigurava certo. Si mise definitivamente in luce nel 1954 battendo tra gli altri Emilio Marconi e Luigi Malè. Aveva ottime credenziali e fu per questo che provò a cimentarsi in Australia, terra promessa per molti nostri pugili. Iniziò superando agevolmente Franck Flannery, un peso leggero, ma si trovò nel match successivo a fronteggiare un mediomassimo, si trattava di Ricardo Marcos, uno spagnolo trapiantato, una sorta di pugile selvaggio, molto scorretto. Luigi non si lasciò intimorire e il verdetto di parità gli andò stretto. Praticamente da quel momento incontrò i più forti medi e mediomassimi tra i quali faceva il bello e cattivo tempo Don Johnson, chiamato “Bronco” perché allenava i cavalli. Erano battaglie, dalle quali Coluzzi usciva indenne grazie alla sua classe e abilità, non disdegnando all’occorrenza lo scambio duro come piaceva al pubblico australiano. Conobbe l’amore in Australia e cercò e anche il lavoro come barista: importò boxe e caffè. Grazie a lui gli australiani impararono ad apprezzare il caffè corretto, che fu ritenuta una specialità. L’anno seguente nel 1955 tornò per un breve periodo a Roma, si era irrobustito e aveva infilato una bella serie di vittorie contro gente scomoda come il nigeriano Martins, il francese Facqueur e il pericoloso negretto inglese Peter King. Divenne lo sfidante al titolo italiano, ma non disputò una prova brillante contro Marconi. Aveva nostalgia della sua nuova patria e in pratica ripartì per stabilirsi definitivamente e mise su famiglia. Era un idolo: piaceva la sua tecnica, ma piaceva soprattutto il suo coraggio contro gente che pesava anche 10 chili in più, il peso era un opzional, quello che contava era il match. Riesce a diventare campione dei medi battendo nettamente Billy Mc Donnell. Dedica sempre più il suo tempo alla famiglia che cresce e al bar che ha aperto in una strada centrale di Sydney. Perde contro Clive Stewart e con Ramon Fuentes, un messicano molto quotato. Disputa il suo ultimo incontro affrontando Peter Read, non è più lui ed è costretto a desistere per ferita. Il suo bar diventa punto d’incontro in una sorta di Little Italy, le pareti sono tappezzate di foto sue e di campioni. I clienti non si stancano mai di ascoltare le sue imprese. “Giggi”, come lo chiamano scherza sempre e mima i colpi dopo essersi messo in guardia. Lo ha fatto fino a pochi giorni fa, quando un malore mise tutti in allarme, la sua incredibile fibra aveva trovato nell’età il suo ultimo avversario. E’ morto sereno, circondato dall’affetto dei figli e dei nipoti per raggiungere Eleni, la sposa che aveva condiviso con lui gioie e dolori.   

al. br.

Di Alfredo