di Vezio Romano
Il Maresciallo Leo Pitardi è stato per molti anni istruttore della Sezione Pugilato della prestigiosa Scuola Militare Di Educazione Fisica (SMEF) di Orvieto e responsabile tecnico della Squadra Nazionale Militare Di Pugilato. Novantadue anni compiuti, in una forma fisica invidiabile, Pitardi ha accettato di raccontare la sua lunga esperienza nel pugilato. ” Ho amato la boxe da sempre: da bambino facevo regolarmente sparring con mio padre, curando l’esecuzione di tutti i colpi. Era una passione di famiglia; mio cugino Vincenzo Pitardi da professionista ha incontrato tre campioni del mondo: lo spagnolo Josè Legra, l’australiano Johnny Famechon e lo scozzese Ken Buchanan, famoso per il suo duro match contro il grande Roberto Duran. La mia carriera nell’Esercito è iniziata nel 1956 come allievo alla Scuola Sottoufficiali di Spoleto. Nello stesso anno sono diventato istruttore militare di educazione fisica, risultando il primo del corso a Orvieto. Per due anni mi sono dedicato al pentathlon moderno ed al paracadutismo. Ma poi sono tornato alla mia grande passione, il pugilato. In quel periodo la Nazionale aveva sede a Orvieto e così potei seguire il corso da insegnante con gli allenatori Natale Rea e Armando Poggi, due tecnici di grande competenza. Posso dire che loro mi hanno “forgiato” come allenatore; inoltre erano due persone molto cordiali e spiritose ed ho avuto il piacere di collaborare più volte con loro anche nelle sedi di Porto Recanati e di Fiuggi. Sono poi diventato responsabile tecnico della Nazionale Militare, succedendo al maestro Panaccione. Ho avuto presto grandi soddisfazioni: nel 1960 ai Campionati Mondiali Militari a Wiesbaden, in Germania, ottenemmo cinque medaglie d’oro e una d’argento. L’anno seguente a Fort Dix gli statunitensi padroni di casa presentarono una squadra molto forte ma noi riuscimmo comunque a vincere tre medaglie d’oro ed una d’argento. In quella occasione ricordo la grande prestazione nei 71 kg di Sandro Mazzinghi che suscitò l’entusiasmo degli spettatori americani che apprezzavano molto il suo stile aggressivo. Nel 1963 ai Mondiali di Francoforte mi è rimasto impresso il comportamento del peso massimo Bepi Ros. Il suo aspetto fisico era il contrario della figura di un atleta ma aveva ben altre doti. Nella semifinale subì molti colpi dal prestante americano Carr nel primo round. Tornato all’angolo nella pausa, mi chiese: “Posso attaccare?”. Io pensai che era matto ma nel secondo round spedì al tappeto l’avversario con un poderoso gancio sinistro. Con lo stesso colpo stese il tedesco Purner in finale! Si confermò campione l’anno seguente a Tunisi e nel 1964 ottenne la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokio. Ricordare tutti i Campionati Mondiali Militari ai quali ho partecipato non è semplice, sono più di venti. In quegli anni l’attività era tanta ed io ero quasi sempre con la valigia in mano. Nel 1985 sono andato in pensione, passando il testimone al maestro Antonello Ortu. Poco dopo il c.t. della Nazionale Franco Falcinelli mi chiese di collaborare con lui e insieme andammo in Canada per un incontro internazionale. Ma poi la mia famiglia, dopo tanti anni, reclamò la mia costante presenza.
Maestro, fra i tanti pugili che ha avuto, ne ricorda qualcuno in particolare?
Ho allenato più di 1.100 pugili ! Non è facile rispondere. Oltre a quelli che ho già citato, mi viene in mente Franco De Piccoli: atleta molto serio, campione mondiale militare e soprattutto primo italiano nella storia a vincere l’oro olimpico nella categoria dei pesi massimi nel 1960 a Roma; c’è voluto quasi mezzo secolo per avere un altro oro nella categoria più pesante di tutte, grazie al bravo Roberto Cammarelle. Poi un altro massimo, Giorgio Bambini, anche lui molto serio, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico, sconfitto in semifinale da un grande campione come George Foreman. In epoca più recente penso alla bravura di Maurizio Stecca, sia da dilettante che da professionista. Dei miei atleti posso dire che in complesso si comportavano bene, anche perchè io decidevo la concessione di permessi e licenze; andare a casa in licenza era per loro la massima aspirazione.
Ma qualcuno era meno disciplinato?
Certamente, e ricordo alcuni episodi anche divertenti. A Orvieto ogni mattina portavo i pugili a correre su un percorso di 15 km, molto impegnativo soprattutto per la risalita verso la Caserma Monte Grappa. Io correvo sempre in testa alla fila e ì ragazzi dietro a me. Quella volta in fondo alla fila c’era Francesco Damiani. Tornati sudati negli spogliatoi, trovai Damiani tranquillo sotto la doccia. Gli domandai: “Che fai qui?”. Con un sorriso disarmante, rispose: “Ho preso la scorciatoia”. Sempre riguardo alla corsa, avevo notato che Teodoro Rosina e Bruno Zaia tornavano poco affaticati. Orvieto è una città piccola, conoscevo quasi tutti. Così scoprii da alcuni passeggeri che ,per la risalita, i due avevano comodamente preso l’autobus! Per un incontro internazionale a Narni i pugili alloggiavano in albergo ed io con loro. Per una notte cedetti la mia stanza ad un funzionario della FPI che non ne aveva trovata una. La mattina dopo, quando arrivai, il direttore mi chiese se avevo parlato con i carabinieri intervenuti nottetempo. Così venni a sapere che Romolo Casamonica aveva avuto la bella idea di effettuare un “gavettone” ai danni degli ospiti in giardino, annaffiandoli dall’alto con abbondanti secchiate d’acqua!
Maestro, nella sua lunga carriera quale è stata la più grande soddisfazione?
Di soddisfazioni ne ho avute tante: ho vinto molte medaglie con la Nazionale Militare, la SMEF per anni la prima nel punteggio della FPi, ho girato trentuno Nazioni, ho avuto riconoscimenti personali, sono stato richiesto come allenatore anche dall’estero. Ma la più grande soddisfazione è la stima e l’affetto che ancora oggi mi dimostrano i miei pugili. Ricevo da loro spesso delle telefonate e almeno una volta all’anno si riuniscono intorno a me qui a Orvieto. C’è chi ha vinto l’oro alle Olimpiadi, chi ha conquistato un titolo europeo o mondiale da professionista, c’è chi ha svolto una dignitosa carriera dilettantistica: tutti parlano fra loro alla pari, senza tenere conto dei risultati ottenuti, ricordando con piacere il periodo trascorso alla SMEF. Tutto questo è per me molto gratificante!”.