MILANO, 23. 03. 2014 – (Al. Br.) -Carmelo Bossi se ne è andato in mattinata nell’Ospedale dove da tempo era ricoverato. Era un milanese purosangue ed era uno dei rappresentanti più conosciuti dell’era d’oro che la boxe meneghina vantava a buon diritto insieme a Giancarlo Garbelli e Sandro Lopopolo, mentre Duilio Loi faceva reparto a se con le sue origini triestine e sarde. “Melo” faceva parte della ristretta cerchia dei fuoriclasse, aveva un fisico apparentemente gracile e non era alto, ciononostante pugili molto più dotati fisicamente ammainarono bandiera di fronte alla sua scelta di tempo, alla sua abilità che molti identificavano con l’intelligenza e astuzia. Adottava sempre la tattica giusta, era uno stratega che conosceva i meandri della boxe in profondità. Da dilettante sulle tre riprese era quasi imbattibile e lo dimostrò conquistando nel 1958 e 1959 il titolo nazionale dei welter dove regalava cm ai suoi avversari. La Nazionale si occupò ben presto di questo “travet” instancabile, che sembrava divertirsi a smentire i pronostici che lo vedevano sconfitto. Il suo primo capolavoro lo compì nel 1959 agli europei che si disputavano a Lucerna e solo un mostro sacro come il polacco Leszek Drogosz, che lo superò in finale con non poche difficoltà. Nel 1960 Natalino Rea ha un bel rebus da sciogliere in vista delle Olimpiadi. Si punta su una vittoria sicura per Nino Benvenuti, il fiore all’occhiello della nostra boxe, il candidato numero uno per ottenere quella medaglia d’oro che aveva avuto in Aureliano Bolognesi il suo ultimo delfino. Carmelo Bossi era un peso welter, mentre Benvenuti era il campione dei superwelter. Quest’ultima era considerata alle Olimpiadi una categoria terribile con il francese Souleymane Diallo e l’inglese Fisher, due picchiatori capaci di risolvere con un pugno solo la contesa, in più c’era quel Wilbert McClure, considerato il top della nazionale statunitense dove c’era pure Cassius Clay. C’era di che tremare e si giocò sullo scambio costringendo Benvenuti a un “superdigiuno” per passare nei welter, dove non si intravedevano pugili capaci di impensierirlo. Nei superwelter fu invece dirottato, come vittima sacrificale, Carmelo Bossi che tra l’altro guadagnò sul campo il posto battendo Tommaso Truppi, considerato nei superwelter il migliore dopo il triestino. Alle Olimpiadi di Roma il milanese “spiazzò piacevolmente” tutti dando una lezione a Diallo e Fisher, mentre in finale fece fare una brutta figura a Mc Clure, che conquistò l’oro per un soffio.
Le “medaglie romane” passano in blocco al professionismo facendo diventare gli anni ’60 vero cult della nostra boxe. Lo stile sparagnino di Carmelo non entusiasma e a Roma viene addirittura messo ko dal nigeriano Johnny Angel un peso medio a cui regala parecchi chili. Riprende la strada del successo che lo porterà a conquistare il titolo italiano dei welter superando Domenico Tiberia, una vittoria importante questa perché il ceccanese in quanto a furbizia e velocità di braccia non era secondo a nessuno. Un titolo che mette in luce le sue qualità che rispolvera pareggiando con il cubano Angel Robinson Garcia, evitato come la peste per la sua bravura. Carmelo ribadisce la sua superiorità su Tiberia e poco dopo a Sanremo compie un altro piccolo capolavoro superando un duro come Jean Josselin, il francese reduce dall’aver conteso il mondiale a Curtis Cokes. Ormai il dado è tratto e il milanese diventato uomo di classifica mondiale accetta qualsiasi sfida: in Sud Africa affronta Willie Ludick due volte per un Titolo Mondiale “locale”, perde ai punti ma per vincere avrebbe dovuto mettere ko il suo avversario. Trova disco chiuso per l’europeo contro Fighting Mack e Johann Orsolic. Sembra che il suo orizzonte non sia più luminoso, si riconosce la sua bravura, ma attua un tipo di boxe che non entusiasma. Il manager Libero Cecchi, un padre per Carmelo, e Rodolfo Sabbatini ottengono una chance mondiale con Freddie Little, il pugile di colore che fece sfigurare Sandro Mazzinghi ottenendo un polemico no contest. Little, che molti chiamano il professore, diventa campione mondiale dei superwelter nel 1969, titolo che difende con successo due volte. Teatro di questa sfida, che a molti appare azzardata, è lo stadio di Monza. Carmelo ancora una volta smentisce tutti e batte Little in maniera convincente, lo fa sul campo del “professore”: abilità, astuzia e scelta di tempo. Liquida successivamente il friulano Battistutta e vola ancora una volta in Sud Africa, dove stavolta viene superato da Pierre Fourie, presentatosi come superwelter, ma in verità era un mediomassimo come dimostrò disputando il mondiale contro gente del calibro di Bob Foster e Victor Galindez. Difende il titolo con un pari in Spagna contro Jose Hernandez, un pari casalingo come sarà la vittoria di Koichi Wajima in Giappone. Per trovare borse consistenti Bossi sembra condannato a combattere fuori dalle mura amiche. Dopo Wajima Carmelo appende i guantoni al chiodo nel 1971 dopo quasi vent’anni. Una carriera da prim’attore contro avversari durissimi. Un fuoriclasse “taciturno” abituato a dire la sua sul ring contro tutto e tutti. Vent’anni fa circa fu colpito da un ictus, cosa che condizionò la sua vita, ma non intaccò la sua dignità di uomo schivo che non volle mai mettere in luce le sue grandi vittorie. Era nato il 15 ottobre del 1939, da professionista disputò 50 incontri (+ 39, -8, = 3).
La camera ardente è all’interno dell’ Istituto Auxologico dove era ricoverato e i funerali si terranno martedì prossimo.
Foto di Vito Liverani