GROSSETO, 13. 09. 2012- Due anni fa Grosseto pianse due suoi grandi campioni come Domenico Baccheschi ed Emilio Marconi. Facile fu in quelle occasioni accomunare il loro nome a quello di Altidoro Polidori, che per certi versi forse fu il più completo e il più spettacolare. Adesso se ne è andato anche il popolare “Lollo” a 83 anni, essendo nato, come amava ripetere, il giorno di San Lorenzo del 1929. Grazie a questi campioni, ai quali si unì più tardi Massimo Zanaboni negli anni ’50 e ’60 Grosseto fu a lungo considerata una delle Capitali pugilistiche.
Dopo una brillante carriera dilettantistica, durante la quale ad appena vent’anni fu medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo cominciò proprio allo scadere del 1949 la sua cavalcata professionistica che lo portò a battersi ben 8 volte per il titolo italiano dei piuma ( cinque vittorie e tre sconfitte). Ma la cosa più curiosa fu che, pur navigando a lungo nelle prime posizioni Continentali, non ebbe mai la soddisfazione di battersi per un titolo europeo, anche se aveva combattuto con gente del calibro di Ray Famechon e Cherif Hamia, che oltre ad essere stati campioni ebbero l’opportunità di battersi per il mondiale. Il suo maestro fu Bondoni, mentre Busacca e Mancini furono i suoi procuratori. Il buongiorno si vide subito dal mattino quando Polidori mise in luce una boxe scintillante in cui era difficile trovare difetti. Era forte sia dalla media che dalla lunga distanza, abile nelle schivate sapeva rientrare come un fulmine avendo velocità e scelta di tempo. Un difetto lo si poteva trovare nelle sue doti d’incassaggio, anche se alcune sconfitte prima del limite potevano essere attribuite alla sua generosità di combattente.
Nel 1951 dopo appena 14 match ebbe l’opportunità di battersi per il titolo nazionale detenuto da Ernesto Formenti, grande campione che nel 1948 fu medaglia d’oro alle Olimpiadi. L’appuntamento al titolo fu rimandato di due anni quando nella sua Grosseto superò il campione Nello Barbadoro, un pericoloso picchiatore, reduce da un tentativo europeo fallito. Polidori detenne la corona dei piuma per tre anni prima di cederla proprio a Barbadoro, da lui battuto in precedenza due volte. La Cavallerizza di Grosseto divenne teatro anche delle due sfide vittoriose, sempre per il titolo, con il triestino Aldo Pravisani, compagno di scuderia di Barbadoro, un pugile capace di imprese memorabili. I due match con l’allievo di Fabris entusiasmarono il numeroso pubblico accorso. La sua era una categoria di fuoco che comprendeva atleti del calibro di Pravisani, Milan, Caprari, Cerasani, Barbadoro, Nuvoloni, Borraccia, Petilli, che avevano anche mire europee.
Non era certo un pugile casalingo, lo dimostrano le sue numerose trasferte contro fior fiore di campioni come Ray Famechon e Jean Sneyers. Il 20 settembre del 1954 fu chiamato ad assaggiare le potenzialità dell’algerino Cherif Hamia al Palais di Parigi. Era il sottoclou di Famechon – Sneyers, valevole per il titolo europeo. Hamia aggredì l’italiano per tutte e 8 le riprese, ma trovò pane per i suoi denti e il punto in più che gli concesse la vittoria apparve alquanto di parte. Polidori fu sconfitto da Famechon e Hamia, ma contro i due si prese la sua bella rivincita. Contro il primo, bestia nera dei pugili italiani, si rifece nel 1956 a Grosseto sul ring installato in uno Stadio gremito. Lollo aveva svolto una preparazione perfetta sotto la regia di Nino Tiralongo con due partner d’eccezione come Gianni Zuddas e Ilario Tanelli. Famechon, non più giovanissimo, cercò d’imporre la sua potenza con colpi dritti velenosi, ma Polidori non sbagliò una mossa evitandolo con abilità e imponendo la sua boxe con serie all’angolo. Quel giorno il grande Ray subì la sua seconda sconfitta da un pugile italiano (il primo fu Loi a Milano). Nello stesso anno durante la classica riunione di Santo Stefano mancò l’exploit per un soffio costringendo al pari Cherif Hamia.
Il grossetano con il passare degli anni qualche problema con la bilancia lo aveva, per questo motivo sempre più frequenti diventavano le sue incursioni tra i leggeri. Nel 1960 andò in Australia, terra promessa per i nostri pugili, dove alternò successi e sconfitte. Polidori disputò l’ultimo incontro a Roma, dove era benvoluto, contro Giacchè, un fighter che non concedeva tregua. Decise di appendere i guantoni al chiodo e si dedicò all’insegnamento della noble art nella sua città, che lo adorava, ma con il rimpianto di non avergli potuto dare quella chance europea che la sua classe e la sua generosità avrebbero meritato.