8899146217La grande fucina calcistica ungherese sul bel Danubio blu. Dietro la vetrina ufficiale delle vittorie, il dramma di un popolo ridotto alla povertà.

Tiki-Taka Budapest – leggenda, ascesa e declino dell’Ungheria di Puskas – Diego Mariottini – Bradipo Libri editori – Pag. 196 – Euro 14.00.

Il calcio non libero di una nazione chiusa in una dittatura a tutto campo, a cominciare da quello dove si gioca a foot-ball. Gli anni ’50 hanno segnato la storia di un club e di una nazionale, sulle rive del Danubio, giunte al massimo dei trionfi, percorrendo il filo sottile del ricatto politico, per cui vincere era imperativo, perdere semplicemente tragico. Il fronte del calcio, secondo gli oligarchi magiari, emanazione della dittatura russa, doveva specchiare lo stato di salute del popolo. Trionfare illuminava, mettendo in ombra la povertà generale. Il tecnico Gusztav Sebes è un giocoliere abilissimo, accontenta i politici presentando bilanci ottimali e nel contempo permette ai giocatori di guadagnare ciò che al popolo è proibito. Il calcio danubiano è arte raffinata, con artisti come Puskas, il capitano della Honved che assicura alla nazionale la maggior parte dei giocatori. Il calcio ungherese è gestito dal Ministero della Difesa, che nel 1949 vara un piano quinquennale dove lo sport diventa pedina fondamentale per la promozione dell’immagine nel mondo. Va tutto bene per anni, oro ai Giochi di Helsinki nel ’52, l’Arannycsapat, ovvero la squadra d’oro non ha rivali. Poi il dramma, la sconfitta imprevista e forse anche immeritata nella finale mondiale del ’54, giocata in Svizzera. Ad infliggere il colpo mortale è la Germania Ovest, sul campo di Berna, che batte 3-2 la squadra più bella del mondo. L’Ungheria intera è incredula, i giocatori distrutti anche perché quella partita ha uno strano andamento e i fatti confermeranno che quella tedesca fu una vittoria sporcata da troppi sospetti, non solo di conduzione dell’arbitro e di un guardalinee in particolare che determina il gol della vittoria, ma di qualcosa ancora più grave, accuse che nel tempo diventano certezze. Qualche mese dopo la sfida, la maggior parte dei giocatori tedeschi finisce in ospedale per infezione con ittero. Nello spogliatoio tedesco vengono ritrovate fiale sospette, contenenti il Pervitin (metanfetamina) tristemente conosciuto perché usato dalla Wermacht, per non far sentire la fatica e rendere euforici i soldati. Prima di questa disfatta tutto sembrava perfetto, almeno in campo. Il resto ha meno importanza, almeno per il segretario del Partito, il rude Matyas Rakosi, che sposa una frase emblematica: “la sconfitta non sarà tollerata”, e per oltre un quadriennio il calcio rispetta le attese. Che il popolo sopporti povertà e paure non sembra scuotere l’apparato dei grigi burocrati, che il pane sappia di cartone e che il fiorino sia una moneta che salta come un burattino e la paga sia ridicola in rapporto alle necessità delle famiglie, non scuote i vertici politici. Se vince la nazionale di calcio, l’Ungheria è il paese ideale. Quando nel 1953, muore Stalin, dall’URSS arriva un messaggio preciso: Rakosi, il suo miglior discepolo è troppo eccessivo e poco produttivo. Quindi deve dimettersi. Lo sostituisce Imre Nagy che con molta cautela concede qualche spicciolo in più agli operai. In quell’anno, a settembre, l’Ungheria affronta l’Italia all’Olimpico di Roma. La partita assegna la Coppa Internazionale e gli ospiti la fanno propria battendo gli azzurri 3-0. Gli anni seguenti scriveranno altre storie. Nel 1956 la voglia di libertà magiara viene cancellata nel sangue dalle forze sovietiche e del Patto di Varsavia. La Honved e la nazionale subiranno qualche sconfitta, anche se restano icone del calcio.  Com’è ricordata oggi l’Ungheria calcistica di allora? Per questa risposta vi rimandiamo alla lettura di un libro che merita l’acquisto.

Giuliano Orlando

 

Di Alfredo