di Leonardo Pisani
Era la terza volta che si incontravano, la prima fu quando Ali ritornò dopo la squalifica “politica” per il rifiuto ad arruolarsi per il Vietnam. “Non ho nulla contro i Vietcong- diceva il campione – Non mi hanno mai chiamato Nigger”. Tre anni lontano dal ring, senza poter guadagnare, lontano dai riflettori del pubblico, il titolo era andato a quel carro armato umano nato nel profondo Sud a Beaufort, nella Carolina del Sud,ma cresciuto a Filadelfia, la città dei pugili. Ben prima della saga di Rocky Balboa. Quel 8 marzo 1971 si affrontarono due pesi massimi imbattuti, il campione Joe Frazier e l’ex campione Muhammad Ali, al mitico Madison Square Garden di New York, Fu la prima sconfitta di Ali. Andò al tappeto alla quindicesima ripresa,colpito dal terribile gancio sinistro di Joe Frazier. Smokin’ Joe vinse ai punti, fu una battaglia dura. Lo fu anche psicologicamente. Joe Frazier è troppo brutto per essere campione. Joe Frazier è troppo stupido per essere campione. Il campione dei massimi deve essere intelligente e grazioso come me!. Frazier non dimenticò mai quelle frasi, era stato solidale con Ali quando ebbe la squalifica, lottò per poter far ritornare a combattere “Il Labbro di Louisville” riteneva ingiusta la condanna contro il campione. E lo aiutò anche economicamente quando era rimasto al verde e anche isolato dagli stessi “Black Muslim”.
Frazier non dimenticò neanche quando prima della difesa contro Foreman, Ali gli telefonò dicendo: attenzione sarai battuto da un pollo… Fu una sorpresa pochi credevano che il ragazzone texano potesse battere il vecchio Joe, certo era un colosso, era stato anche lui campione olimpionico dei massimi. Ma era grezzo, potentissimo ma con una boxe primitiva e poi vinceva sempre per ko, ma quando sarebbe durato con un rinoceronte umano come Frazier. Invece a Kingston in Jamaica vinse il colosso Foreman, anzi massacrò il campione, Joe andò al tappeto tre volte alla prima e tre volte alla seconda ripresa, a volte letteralmente sollevato dai montanti di Big George. Foreman nuovo campione dei massimi, Ali voleva Foreman e il titolo mondiale, ma prima dovette incontrare ancora Frazier, questa volta per il titolo nord americano dei Massimi, sempre al Madison di New York il 28 gennaio 1974 sempre una battaglia combattuta prima del gong, con la guerra psicologica di Ali, e dopo. Vittoria ai punti per “The Greatest ”, per Frazier è la seconda sconfitta in carriera. Una vittoria a testa, poi Muhammad fece il “miracolo” in Africa, mettendo ko alla ottava il favorito Foreman, il giorno che il mondo scoprì Kinshasa e lo Zaire di Mubutu, era il 30 ottobre 1974.
Muhammad Ali ritorna campione mondiale dopo sette anni. Ma il mondo pugilistico mondiale vuole la bella tra i due, alle spalle sempre Don King che dopo Kinshasa e “The Rumble in The Jungle” si inventò il nome della bella tra i due eterni rivali: “Thrilla in Manila”. Al solito la battaglia iniziò prima, Ali voleva distruggere il rivale ancora prima che suonasse il gong. Iniziò a chiamarlo “Gorilla”, il campione dei bianchi, Lo zio Tom d’America. Era troppo brutto per battere il più bel peso massimo cioè lui. Frazier si innervosì, si allenò con rabbia, voleva far tacere quella linguaccia. Lo aveva aiutato quando era stato ghettizzato dall’America, lo aveva difeso e poi e poi. Chi aveva conosciuto la ghettizzazione era stato lui, Joseph William Frazier nato in nella fattoria di famiglia di dieci acri con dodici fratelli e sorelle. Un fratellino David, morì di difterite da piccolo, e Joe il membro più giovane della vasta famiglia Frazier. Aiutava i genitori a coltivare verdure e allevare maiali, una vita dura e onesta, la mamma Dolly una fervente battista e diede una educazione severa ai figli. Infatti, ogni sua parola era legge e i bambini non dovevano far altro che ascoltare e obbedire.
L’infanzia di Frazier tipica di un ragazzo afroamericano delle campagne del sud: trascorreva gran parte del suo tempo ad aiutare il padre Rubin a a lavorare nella fattoria di famiglia e in quelle di altri proprietari di grandi aziende agricole. Voleva diventare pugile, perché uno zio gli diceva che assomigliava a Joe Louis, ma le palestre della Carolina del Sud all’epoca erano vietate per i ragazzi di colore. C’era la segregazione quella vera. Il piccolo Joe, sovrappeso e goffo si costruì un rudimentale saccone di costituito di iuta e stracci, pannocchie, mattoni, e muschio spagnolo. Appese il sacco al ramo di una quercia nel cortile e cominciò a colpirlo i ogni giorno per gli anni successivi. Con rabbia, anche i campi da gioco erano vietati ai ragazzi di colore. Goffo, nero come la pece, fu deriso preso in giro , bonariamente anche dalla sua numerosa famiglia, quando predisse che sarebbe diventato campione del mondo come il Brown Bomber Joe Louis. Nella sua autobiografia disse che rispose loro: “Voi tutti potete ridere, ma un giorno diventerò campione del mondo”. Quel enorme e rudimentale sacco fu la base del suo sogno e Smokin’ Joe lo ricordava con rabbia quando sentiva le parole di Marcellus Cassius Clay, nato in una grande città del Kentucky, Louisville, dove c’erano più palestre di pugilato e anche i “neri” ci potevano andare. Il giovane Cassius da piccolo poteva avere la famosa bicicletta che gli fu rubata e rivolgendosi a Martin un poliziotto bianco, che lo invitò a fare boxe nella sua , aveva 13 anni. Il piccolo Joe invece lavorava nei campi e l’unico gioco era quel saccone che si era costruito. Lui da piccolo aveva conosciuto la vera segregazione, lui era andavo via da casa ancora minorenne per poter imparare la boxe in una grande città, sopravvivendo nei ghetti di New York e Filadelfia.
Ali andò alla conferenza stampa con un gorilla di gomma che prese a colpire canticchiando: “Sarà un killa (omicidio), un chilla (brivido) e un thrilla (emozione) quando a Manila batterò il Gorilla”. Frazier arrivò con la furia di King Kong, quel 1 ottobre 1975 non fu un incontro di boxe, fu una battaglia tra la boxe aerea di Ali e il caro armato umano Frazier , tra il sinistro al fioretto di Muhamadd e il possente gancio sinistro di Joe, tra la danza del campione e il procedere passo dopo passo, inesorabile dell’ex campione. Forse il più cruento incontro della storia, nessuno ci ha fatto un film, ma sarebbe da Oscar. Ali fu a un passo dall’essere sconfitto, dall’essere massacrato, ma fu il rinoceronte di Filadelfia a cedere alla 14 ripresa, era esausto, non vedeva più nulla. Aveva colpito con tutta la rabbia e forza possibile la sua nemesi, il suo eterno rivale, il suo alter ego del ring. Si giocò tutto in quel minuto: «Angelo tagliami i guantoni. Tagliali via». gridava Ali a Dundee, ma l’allenatore non lo fece, nel frattempo all’angolo opposto Eddie Futch cerca di curare quello che una volta era l’occhio sinistro di Frazier, gli da i sali ma si accorge che il suo pugile è allo stremo e prende una drammatica decisione, lo ferma.
Frazier abbandona e Ali è ancora campione del mondo Wba e Wbc. Va la centro del ring, alza la mano e poi crolla al tappeto: è distrutto anche lui. “L’ho colpito con pugni che avrebbero fatto crollare una città” disse Smokin’, Ali replicò: “ E’ la cosa più vicina alla morte che ho mai vissuto”. Poi “Frazier con me è il più grande pugile del mondo”. Divennero amici, ma fu il canto del cigno della loro carriera.
Nel sottoclou, un giovane massimo, sparring di Alì che poi ne prese l’eredità : Larry Holmes.